L’ALITALIA E L’ESPERIENZA SWISSAIR

di Diego

Non ho voglia di entrare nel merito della questione Alitalia dissertando sull’assurdità di avere qualcosa come 9 o 10 sigle sindacali in un’azienda, e nemmeno capire se sia una grande dimostrazione di imprenditorialità acquistare una good company mentre lo Stato (i cittadini) si sobbarcano la bad. Figuriamoci poi parlare di un piano di ammortizzatori sociali di 7-8 anni (!) per i dipendenti Alitalia mentre a Torino i dipendenti della Bertone lottano con i denti e le unghie per mantenere aperta la loro azienda. No, io chiedo solo una cosa e la chiedo da residente all’estero (Ginevra): cosa dico ai miei colleghi e amici con i quali in questi giorni si è parlato molto di Italia e Alitalia? Cosa gli dico quando mi sorridono e mi dicono che tutto questo è tipicamente italiano? Cosa posso dire a uno che due minuti fa mi ha chiesto perché i dipendenti Alitalia festeggiavano per il fallimento della trattativa e forse della loro azienda? A me, visto da qui, da un paio d’anni il mio Paese sembra fuori dal mondo, vivere in una situazione ridicola e sempre a tirare a campare. Sa cosa dirò? Che finirà all’italiana, alla volemose bene: come i diritti tv per il calcio. Mercoledì sera lo slogan era «niente calcio in tv», domenica eravamo tutti a vedere i gol a 90° minuto (io compreso). Mi consolo solamente incontrando i tanti italiani che lavorano qui attorno tra Cern, banche e multinazionali varie – mi fa pensare che alla fine abbiamo sempre qualcosa di speciale. Quello che mi dà fastidio è che guardo al mio Paese e non mi viene proprio voglia di tornarci. Qui citano sempre il caso della loro compagnia aerea, fatta fallire qualche anno fa e ora rinata, più piccolina e più efficiente. Ma chissà se anche loro avevano 180 piloti per cinque aerei cargo che hanno esultato al fallimento della trattativa con la Cai.

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