Lavoro. Licenziare più facile? Pietro Ichino divide, Jobs Act dal 4/9 al Senato

Lavoro. Licenziare più facile? Pietro Ichino divide, Jobs Act dal 4/9 al Senato
Pietro Ichino. Un suo emendamento al Jobs Act divide Pd e alleati

ROMA — Riparte giovedì 4 settembre 2014, in commissione Lavoro al Senato, l’esame della legge delega,nota come Jobs act, che era stata sospesa un po’ per la pausa estiva, un po’ anche per le divergenze fra Pd e gli altri partiti della coalizione su cui si basa il Governo di Matteo Renzi.

Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha ribadito, come ricorda Antonella Baccaro sul Corriere della Sera, che

“l’approvazione della delega avverrà entro la fine dell’anno, in modo che i decreti discendenti dalla delega possano essere varati nella prima parte del 2015”.

L’obiettivo del governo è il varo definitivo della legge delega entro la fine dell’anno. Poi

“ci sono sei mesi di tempo per l’emanazione delle cinque deleghe relative. Il provvedimento finora ancora non ha ricevuto l’ok da parte di nessun ramo del Parlamento. La commissione Lavoro del Senato, presieduta da Maurizio Sacconi (Ncd), lo sta esaminando dall’aprile scorso. Inizialmente si puntava a passarlo all’Aula a luglio ma poi, complice anche l’impegno sulle riforme istituzionali, si è deciso di far slittare il passaggio di consegne (dalla commissione all’Aula) a settembre”.

Contro l’ottimismo di Giuliano Poletti, resta il nodo dell’articolo 4 del Jobs Act, che riguarda il riordino delle forme contrattuali (oggi i contratti di lavoro sono oltre 40 e la riforma mira a un deciso sfoltimento), che ha ricadute sull’articolo 18 e la disciplina del recesso e dei licenziamenti che, scrive Giusy Franzese sul Messaggero, è proprio quello che era stato accantonato (gli altri sono stati tutti approvati e si attendono solo i pareri sugli emendamenti della commissione Bilancio):

“La pausa agostana non ha ammorbidito né avvicinato le posizioni sui temi caldi rimasti in sospeso. A cominciare da quello più ostico e da tempo – per dirla con le parole del ministro Poletti – causa di «scazzottate o legnate» tra chi sostiene una tesi e chi un’altra: ovvero le tutele contro i licenziamenti illeciti previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.

Che in giro ci sia confusione lo confermano anche le righe appena citate: l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non è contro i licenziamenti illeciti ma definisce che i licenziamenti sono più difficili in aziende con più di 15 dipendenti e li rende illeciti.

La maggioranza è spaccata:

“I centristi moderati (Ncd, Ucd, Sc) insistono nel proporre il ”superamento“ della norma in questione, la maggior parte del Pd non ne vuole sapere”.

La delega prevede la possibilità di introdurre «eventualmente in via sperimentale» il contratto di inserimento con tutele crescenti. Su questo punto

“si sta consumando lo scontro tra le varie anime della maggioranza. Un emendamento del senatore Pietro Ichino (condiviso da tutti i centristi della maggioranza) chiede di lasciare la reintegrazione sul posto di lavoro solo nei casi di licenziamenti discriminatori. La norma è già prevista dalla riforma targata Fornero del 2012, ma lascia una certa discrezionalità al giudice (il governo sta facendo un monitoraggio sugli effetti). L’emendamento Ichino elimina questa discrezionalità. Per gli altri licenziamenti illegittimi si prevede un indennizzo economico via via crescente in base all’anzianità aziendale”.

Il Pd invece propone un contratto di inserimento a tutele crescenti (che prevede anche retribuzioni tabellari più basse) valido solo per un periodo determinato, al massimo tre anni, dopo di che al lavoratore verranno riconosciute tutte le tutele attuali. Insomma l’applicazione dell’articolo 18 sarebbe solo congelata e durante questo periodo il datore di lavoro potrà licenziare senza motivazione.

Le posizioni in campo sono:

“1. La proposta di Ncd, Angelino Alfano in testa, Sc, PI e Svp, contenuta in un emendamento presentato a luglio in commissione, prevede una delega al governo a presentare entro sei mesi un decreto con un testo unico semplificato sui rapporti di lavoro. Ferme restando le attuali forme contrattuali a termine, si interverrebbe sul contratto a tempo indeterminato prevedendo per i nuovi rapporti di lavoro l’assunzione in prova per massimo tre anni senza le tutele dell’articolo 18. Quindi, dopo i tre anni, chi venisse licenziato avrebbe diritto solo a un indennizzo economico, in base all’anzianità di servizio.

“2. Il Pd, secondo cui nella delega non è prevista la modifica del contratto a tempo indeterminato. Si propone invece di introdurre un nuovo contratto d’inserimento a tutela crescente, che prevede al termine dei tre anni una decisione sull’assumere o meno il lavoratore. Nel caso lo si assuma, il contratto diventa a tempo indeterminato, dunque conserva la tutela dell’articolo 18, così come lo ha riformato la legge Fornero.

In mezzo c’è il Governo che, nonostante la sua orticaria conclamata verso le rappresentanze sociali, non ha tra le sue massime aspirazioni quella di andarsi a impegolare in una battaglia con il sindacato dando il via al tanto temuto autunno caldo.

Matteo Renzi ha già annunciato un consiglio straordinario a ottobre sulla crescita e oggi illustrerà il programma dei mille giorni che ha proprio come obiettivo lo scambio tra riforme strutturali e flessibilità. La madre di tutte le riforme resta quella del lavoro, come ha fatto notare lo stesso Mario Draghi quando ha sottolineato che le riforme strutturali sul lavoro «non sono più rinviabili».

“Renzi dovrà finalmente svelare la propria posizione sul tema dirimente dell’articolo 18. Finora il premier si è limitato a dire che non si parlerà «solo» di articolo 18 ma di una revisione dello Statuto dei lavoratori, con ciò non svelando da quale parte stia.

La quadra ancora non è stata trovata ma tutti sono consapevoli che bisogna fare in fretta, e fare bene. Alzare le barricate da una parte e dall’altra non serve al Paese. Non serve agli oltre tre milioni e duecentomila disoccupati che ogni giorno sperano che sia la #voltabuon”.

 

 

 

 

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