Home > Notizia per Notizia > Politica > Politica estera > Libano, 10 mila anni di commerci, gli ultimi 50 di guerre di religione e di razza, una sintesi storica

Libano, 10 mila anni di commerci, gli ultimi 50 di guerre di religione e di razza, una sintesi storica

Il Libano è stato abitato per migliaia di anni, in origine dai fenici. Era lo sbocco al Mediterraneo delle carovaniere dall’Oriente. Byblos è una delle città più antiche del mondo, abitata con continuità per 10 mila anni.

I fenici si espansero in tutto il mediterraneo, fondarono Cartagine, Genova e Marsiglia, superando Gibilterra arrivarono in Cornovaglia in cerca dello stagno per fare in bronzo.

Da allora, questa striscia di terra stretta fra la Siria e il mare è stata dominio di persiani, romani, ottomani e francesi.

Veniamo agli ultimi 70 anni cercando di capire le cause del disordine di oggi. La fonte è Wikipedia.

Alla precarietà politica nel Libano si è sovrapposta una rapida prosperità economica, determinata dall’importanza che Beirut riveste nel Vicino Oriente quale centro finanziario e commerciale.

Le riforme e la modernizzazione, insieme a un’amministrazione efficiente, che il presidente Fu’ad Shihab tra gli anni cinquanta e sessanta seppe imporre al suo Paese fecero del Libano il centro economico-finanziario, ma anche culturale, dell’intero Medio Oriente, e di scambi commerciali con i principali paesi europei, in particolare Francia e Italia.

Si stima che nel 2018 la popolazione del Libano fosse pari a 5.592.631 nel 2021, con un numero di cittadini libanesi stimato in 4.680 mila; tuttavia, dal 1932 non è stato condotto alcun censimento ufficiale a causa del delicato equilibrio politico confessionale tra i vari gruppi religiosi del Libano.

Quasi due milioni fuggiti dal Libano

Beirut, capitale del Libano, bombardata da Israele
Libano, 10 mila anni di commerci, gli ultimi 50 di guerre di religionee di razza, una sintesi storica – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Oltre 1.800.000 persone sono emigrate dal paese nel periodo 1975-2011. Oltre il 50% della diaspora libanese è cristiano, in parte a causa del vasto periodo di emigrazione cristiana prima del 1943. Nel 2012, il Libano ospitava oltre 1.600.000 rifugiati e richiedenti asilo: 449.957 provenienti da Palestina, Iraq, Siria e Sudan.

Negli ultimi tre decenni, conflitti armati lunghi e distruttivi hanno devastato il paese. La maggior parte dei libanesi è stata colpita da conflitti armati; quelli con esperienza personale diretta comprendono il 75% della popolazione, e la maggior parte degli altri riferisce di aver sofferto una serie di difficoltà. Nel complesso, quasi tutta la popolazione (96%) è stata colpita in qualche modo, a livello personale o a causa delle conseguenze più ampie del conflitto armato.

La capitale è Beirut con 1,916,100 abitanti che è anche la più popolata. Seguono Tripoli con 1,150,000, Jounieh 450.000, Tiro 85.000, Byblos 80.000, Baalbek 70.000.

Per quanto riguarda la religione, vi sono musulmani (sciiti 34,1%, sunniti 21,2%), cattolici (maroniti) 23,4%, ortodossi 11,2%, drusi 7%, altri 3,1%. Nonostante l’arabo sia la lingua ufficiale, resta assai diffuso il francese.

Tutto ebbe inizio con l’indipendenza

Veniamo ai tempi più recenti. Le vicende di oggi hanno radici nel dopoguerra.

Alla precarietà politica nel Libano si è sovrapposta una rapida prosperità economica, determinata dall’importanza che Beirut riveste nel Vicino Oriente quale centro finanziario e commerciale.

Le riforme e la modernizzazione, insieme a un’amministrazione efficiente, che il presidente Fu’ad Shihab tra gli anni cinquanta e sessanta seppe imporre al suo Paese fecero del Libano il centro economico-finanziario, ma anche culturale, dell’intero Medio Oriente, e di scambi commerciali con i principali paesi europei, in particolare Francia e Italia.

La crisi libanese del 1958 fu un periodo di disordini politici e scontri di guerriglia intercorsi in Libano tra il maggio e l’ottobre del 1958. Gli scontri videro opposti da un lato i sostenitori del presidente libanese Camille Chamoun, un cristiano maronita noto per la sua linea filo-occidentale, e dall’altro la galassia di movimenti di sinistra-panaraba-marxista guidata dal leader politico druso Kamal Jumblatt (con il suo Partito Socialista Progressista) insieme con il primo ministro Rashid Karame, musulmano sunnita noto per le sue simpatie per il regime nasserista al potere in Egitto.

Dopo alcuni disordini di piazza, le opposte fazioni iniziarono a reclutare milizie armate e a prendere possesso dei principali centri abitati, mentre l’esercito libanese si dimostrava incapace di fermare l’ondata di violenza.

La crisi fu risolta grazie all’intervento militare degli Stati Uniti d’America, richiesto da Camille Chamoun in adempimento alla dottrina Eisenhower e sulla scia del Patto di Baghdad. Temendo sviluppi ben peggiori anche dopo la sanguinosa rivoluzione del 14 luglio occorsa nel vicino Regno d’Iraq, il presidente statunitense Dwight Eisenhowerautorizzò il dispiegamento di truppe da combattimento statunitensi (United States Army ed United States Marine Corps) a Beirut per riportare l’ordine ed impedire interventi armati delle nazioni vicine.

Grazie alla mediazione statunitense, la crisi fu infine risolta con l’elezione alla presidenza libanese del generale Fu’ad Shihab, universalmente apprezzato da tutte le fazioni, ed alla nomina di un governo di riconciliazione nazionale.

Una composizione etno-religiosa complessa

La composizione etno-religiosa del Libano era da sempre piuttosto complessa, costituita come era da una maggioranza di cristiani arabofoni (a sua volta suddivisa tra maroniti, greci-ortodossi e greci-uniati) e una forte minoranza di musulmani (suddivisi tra sunniti e sciiti) oltre ad altri gruppi più piccoli come i drusi e gli armeni. Nel tentativo di mantenere un equilibrio tra le varie componenti, nel 1943, alla vigilia della proclamazione della piena indipendenza del Libano dalla Francia, il primo presidente della nazione Bishara al-Khuri (un cristiano maronita) negoziò con altri notabili locali e in particolare con il primo ministro Riyad al-Sulh(un musulmano sunnita) un “Patto Nazionale” per la spartizione delle posizioni di potere del nascente stato: in base a tale accordo, non scritto e basato per lo più sull’onore, il presidente della repubblica sarebbe stato sempre un maronita, il primo ministro sempre un sunnita, il presidente dell’Assemblea Nazionale sempre uno sciita e il vicepresidente dell’Assemblea Nazionale sempre un greco ortodosso, con gli altri incarichi di governo ripartiti in maniera simile.

Il Patto Nazionale libanese resse alla prova della guerra arabo-israeliana del 1948, durante la quale il Libano combatté a fianco dei suoi vicini arabi contro Israele e al termine della quale dovette accettare di ospitare sul suo territorio circa 150.000 profughi palestinesi, ma mostrò i primi segni di crisi a metà degli anni 1950 in concomitanza con la presa del potere in Egitto da parte di Gamal Abd el-Nasser: la politica nazionalista e panaraba di Nasser, culminata con la nazionalizzazione del canale di Suez, lo pose in urto con le vecchie potenze coloniali europee, portando all’invasione dell’Egitto da parte di un’alleanza tra Israele, Francia e Regno Unito conclusasi però con un ritiro a causa delle forti pressioni politiche esercitate da Stati Uniti d’America e Unione Sovietica; il mondo arabo espresse il suo sostegno a Nasser rompendo le relazioni diplomatiche con gli anglo-francesi, ma il presidente del Libano Camille Chamoun, un maronita in carica dal 1952, si rifiutò di aderire a questa iniziativa entrando in contrasto con gli ambienti musulmani vicini all’ideologia di Nasser.

La tensione crebbe ulteriormente quando il 23 febbraio 1958 Egitto e Siria diedero vita a un’unione tra i loro due Stati, la Repubblica Araba Unita (RAU); la comunità musulmana libanese prese a sostenere con forza l’unione del Libano alla RAU, trovando la forte opposizione dei cristiani e del presidente Chamoun.

La crisi precipitò quando, l’8 maggio 1958 Nassit el Metui, editore dell’importante quotidiano di Beirut Al Telegraf, fu assassinato da sconosciuti; el Metui era conosciuto come fermo oppositore del presidente Chamoun, e la sua uccisione scatenò le proteste dell’opposizione: il 9 maggio violenti disordini presero vita a Tripolidurante i quali venne incendiata la sede della United States Information Agency.

L’esercito libanese era controllato da un maronita, il generale Fu’ad Shihab, ma la paura di vederlo dissolversi in fazioni religiose qualora esso fosse intervenuto per reprimere i disordini spinse il suo comandante ad adottare un atteggiamento cauto e neutrale: i soldati libanesi furono schierati a protezione delle principali vie di comunicazione e per ostacolare sortite dei ribelli dalle loro roccaforti, ma non fecero nient’altro per riportare l’ordine nel paese. A poco a poco i disordini si trasformarono in una guerriglia strisciante fatta di assassinii ed attentati esplosivi.

L’intervento militare statunitense ebbe successo nel soffocare una crisi molto pericolosa prima che potesse degenerare in eventi ben più sanguinosi; il nuovo presidente Shihab inaugurò un periodo di distensione e riconciliazione tra le comunità nazionali libanesi, e nel tentativo di superare le divisioni settarie promosse la creazione di uno stato moderno e centralizzato.

Le tensioni politiche nel paese precipitarono nel 1975, evolvendosi in una guerra civile che si sarebbe protratta in più fasi fino al 1990 e che vide numerosi contendenti e frequenti capovolgimenti di alleanze. Inizialmente a fronteggiarsi furono da una parte le milizie del Fronte Libanese, dominate dai cristiani maroniti, e dall’altra le milizie del Movimento Nazionale Libanese, sostenute dall’OLP.

Quando nel 1976 il conflitto stava volgendo a favore del Movimento Nazionale Libanese, la Siria, su invito del Fronte Libanese, intervenne nel paese. La Lega araba, dopo l’accordo di Riyaḍ del 21 ottobre 1976, autorizzò allora l’intervento di una Forza Araba di Dissuasione, a maggioranza siriana, che riuscì a riportare con la forza una provvisoria e fragile stabilità nella nazione.

Il 14 marzo 1978 Israele lanciò l’Operazione Litani, occupando l’area meridionale del paese, con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto con le forze dell’OLP.

Nel 1982 il paese vide una nuova invasione da parte di Israele, che lanciò l’Operazione Pace in Galilea obiettiva a sradicare definitivamente dal Libano la presenza armata palestinese; le forze israeliane giunsero fino a Beirut, assediandola. Il neoeletto presidente Bashir Gemayel il 14 settembre 1982, nove giorni prima dell’investitura ufficiale, cadde vittima di un attentato, perdendo la vita.

Vi fu a questo punto un intervento internazionale multiforze americano, francese e italiano (Missione Italcon) che consentì il ritiro della dirigenza dell’OLP. La dirigenza dell’OLP si rifugiò quindi a Tunisi.

Furono comunque perpetrate atrocità contro la popolazione civile come la strage di Damour (1976) e il massacro nei campi-profughi di Sabra e Shatila (1982) a Beirut, operati il primo da miliziani palestinesi del campo di Tell al-Zaʿtar e il secondo da unità cristiane guidate da Elie Hobeika, che non vennero opportunamente contrastate dall’esercito israeliano di stanza nell’area coinvolta ed anzi, in talune circostanze tali atrocità vennero agevolate dalle suddette forze.

Presidente della Repubblica fu eletto Amin Gemayel, fratello di Bashir. Resterà presidente fino al 1988.

Il 23 ottobre 1983 un duplice attentato dinamitardo da parte di Hezbollah alle basi della Forza Multinazionale causò la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi. Questo causò il ritiro pochi mesi dopo delle truppe di pace, lasciando il Libano in una strisciante guerra civile per alcuni anni.

Ma con la fine della guerra iniziò anche un periodo di ricostruzione. Nel 1994 fu vietato il movimento Forze Libanesi, che rappresentava i cristiani più radicaleggianti, e le attività dei suoi militanti severamente limitate dai governi filo-siriani. Nel 1999 avvenne l’elezione di Émile Lahoudalla presidenza della Repubblica. Nel 2000 Amin Gemayel tornò dall’esilio. A seguito dell’assassinio dell’ex Primo ministro sunnitaRafīq al-Ḥarīrī nel 2005, ci fu la cosiddetta “Rivoluzione del Cedro” antisiriana, che avviò il ritiro delle truppe siriane della FAD (Forza Araba di Dissuasione).

Il 12 luglio 2006, i miliziani sciiti libanesi conosciuti come Hezbollah, attaccarono una pattuglia dell’esercito israeliano in perlustrazione nei pressi del villaggio di Zar’it, uccidendo otto soldati e catturandone due.

Hezbollah è un’organizzazione paramilitare islamista sciita e antisionistalibanese, nata nel giugno 1982 e divenuta successivamente anche un partito politico. Ha sede in Libano e il suo segretario generale è Hashim Safi Al Din, succeduto ad Hassan Nasrallah a causa dell’uccisione di quest’ultimo durante l’operazione “Nuovo Ordine” nel settembre 2024 ad opera delle forze armate israeliane.

Israele iniziò un’aggressione militare contro il Libano. Nei giorni seguenti i bombardamenti aerei israeliani abbatterono molte infrastrutture moderne e diversi ponti vennero in quel mese distrutti. Altre spedizioni aeree colpirono l’aeroporto di Beirut, i porti, le centrali elettriche e le principali vie di collegamento terrestre con la Siria, i quartieri della periferia meridionale di Beirut e diversi villaggi nel Libano meridionale, provocando anche migliaia di vittime civili.

Sul terreno le forze armate israeliane incontrarono una forte resistenza offerta dai miliziani Hezbollah e altre truppe della resistenza, che adottarono tattiche di guerriglia.

Il 14 agosto 2006, subito dopo l’annuncio del cessate il fuoco e la fine delle azioni militari, il governo libanese avviò il dispiegamento delle proprie forze armate lungo il confine meridionale.

Il 25 agosto 2006, il vertice dell’Unione europea a Bruxelles stabilì l’invio di circa settemila militari europei per costituire il nucleo centrale della forza multinazionale di interposizione nel Libano meridionale (seconda missione UNIFIL).

Le truppe multinazionali, guidate dalla Francia, a cui è subentrata l’Italia nel febbraio 2007 (Operazione Leonte),

La crisi politica innescata dalle dimissioni dal governo Siniora di cinque ministri legati ai partiti Hezbollah e Amal, dovuta al comportamento del Siniora e i suoi alleati durante e dopo la guerra, le modalità della ricostruzione, le divergenze riguardanti in parte l’istituzione del Tribunale speciale per il Libano, istituito per indagare sull’assassinio di Rafīq al-Ḥarīrī, e in parte la richiesta non accolta di un rimpasto di governo che assegni maggiore potere alla componente sciita, si aggravò ulteriormente dopo l’assassinio del ministro dell’industria Pierre Amine Gemayel, figlio dell’ex presidente Amin, avvenuto il 21 novembre 2006.

Dopo gli scontri tra sciiti e sunniti avvenuti agli inizi di maggio 2008, una mediazione internazionale guidata dalla diplomazia del Qatar ha permesso alle fazioni politiche locali di accordarsi per l’elezione del generale Michel Suleiman alla presidenza della repubblica e per la formazione di un governo di unità nazionale, in vista delle elezioni parlamentari previste per la primavera del 2009 che si sono svolte regolarmente.

In queste elezioni per la prima volta si presentano due grandi coalizioni unite non dalla comunanza religiosa, ma dal sostegno o meno della Siria. Nell’Alleanza del 14 marzoanti-siriana vi sono i cristiano-maroniti della Forze Libanesi e delle Kataeb insieme ai drusi del Partito Socialista Progressista e ai sunniti del Movimento del Futuro, mentre nell’Alleanza dell’8 marzo con gli sciiti di Amal e Hezbollah vi è il principale partito maronita, il Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun. Nel 2009 sono i primi a vincere le elezioni, ma formano un governo di unità nazionale.

Dal 2011 nel corso della guerra civile siriana, si è determinato un riacutizzarsi dello scontro settario libanese che vede le fazioni sunnite sostenere i ribelli, mentre quelle sciite, e in particolare la milizia Hezbollah, sostenere anche militarmente il governo siriano.

Lo sconfinamento della guerra civile siriana in Libano non ha solo coinvolto le cittadine al confine siriano, ma anche i grandi centri urbani, tra cui Beirut, Sidone e Tripoli dove si sono verificati scontri armati, rapimenti e attentati. Dal 2013 le Forze armate libanesihanno fatto da interposizione tra i due contendenti, mentre le elezioni, previste nel 2013, sono state rinviate.

Nel 2016 viene eletto presidente della repubblica l’ex generale Michel Aoun, che torna all’incarico dopo quasi 30 anni dalla prima volta, mentre primo ministro è il sunnita Saad Hariri.

Le elezioni si sono svolte nel 2018 e hanno visto la vittoria dell’Alleanza dell’8 marzo, con il partito di Aoun che ha ottenuto la maggioranza relativa con 28 seggi. La recessione economica (dovuta in parte anche alle ricadute della guerra civile nella vicina Siria) di questi anni, ha visto un aumento del deficit di bilancio e del debito estero. Questo ha portato alla fine del 2019 a una serie di proteste nel paese e alle dimissioni del primo ministro Saad Hariri.

Per anni, il Libano ha pagato gli interessi sul proprio debito pubblico attraverso altri prestiti, in un spirale progressiva di debito pubblico crescente, ma sul finire del 2019 tale meccanismo ha iniziato a scricchiolare, portando il paese all’insolvenza nel marzo 2020.

La dimensione della crisi economica è stata tale che molte famiglie sono tornate al baratto, vedendo il potere d’acquisto dei propri stipendi contrarsi di oltre il 90%;[19] in aggiunta, il paese ha dovuto affrontare la pandemia globale di Covid 19.

Il 4 agosto 2020, l’esplosione accidentale di 2 750 tonnellate di nitrato d’ammoniostoccato in condizioni precarie nel porto di Beirut ha generato la distruzione di buona parte della città, causando 270 morti, 5 000 feriti, 300 000 senzatetto, distruggendo oltre la metà delle riserve di grano del paese e privando il Libano del porto da cui transitava circa il 60% della propria merce.

A seguito dell’esplosione si sono riversate in strada migliaia di persone a Beirut per protestare contro il Governo, causando la morte di un poliziotto e l’occupazione di diversi ministeri governativi da parte dei manifestanti.

Il mandato presidenziale di Michel Aoun è terminato ufficialmente il 31 ottobre 2022, dopo 6 anni in carica, con l’interim del primo ministro.

 

Gestione cookie