Liberazione dei marinai del Buccaneer dalle mani dei pirati Somali. Ombra di reticenza e bugie sulla luce di un successo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 10 Agosto 2009 - 10:19| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

I poveri marittimi del Buccaneer, catturati la vigilia di Pasqua dai pirati somali, sono stati liberati, con grande gioia di tutti. Ma il ministro degli Esteri Franco Frattini, e il Governo italiano, ne escono con una brutta figura che si sarebbe potuto risparmiare se fosse stato meno reticente e contorto, meno borbonico nel rapporto con i cittadini. E il danno di quella brutta figura non è solo di Frattini e del suo Governo, ma ricade, lo si voglia o no, su tutti noi.

L’azione del Governo è stata meritoria, perché si è impegnato a far liberare i marittimi, che non avevano proprio il pedigree per attirare l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa. Erano  dei poveri meridionali (più cinque romeni e un croato, cioè, per noi, non entità) senza connessioni, e nessuno se li è filati. Ricordiamo il clamore suscitato dai giornali e dalla tv quando il rapito era un giornalista o una giornalista. Il governo italiano ha pagato, in soldi o in natura, e tutto si è risolto velocemente, tanto velocemente che per la fretta un povero poliziotto italiano c’è anche morto, ucciso dal fuoco “amico” americano.

L’armatore, di Ravenna, con sede di armamento a Cortona, in Abruzzo, non appariva ricco come quei tedeschi che hanno pagato a ripetizione fior di milioni di riscatto. Lui, Silvio Bartolotti, aveva detto fin dall’inizio che non voleva blitz e non voleva nemmeno pagare e che mirava sui buoni rapporti degli italiani con la Somalia per uscire

Appena si è saputo che i marinai sono stati liberati, subito Bertolotti si è affrettato a escludere blitz e riscatto: comprensibile, visto che le sue navi quei mari continueranno a batterli e se si sa in giro che il Bartolotti da Ravenna paga come una grande compagnia di Amburgo, meglio chiudere subito.

Un po’ meno credibile, fin dall’ inizio, il fatto che  sullo stesso tasto abbia insistito, fino dalla prima comunicazione nella tarda serata di domenica, il ministro degli esteri Franco Frattini, con il coretto dei militari, i quali, preoccupati della loro immagine, ci tenevano  a fare sapere che tutto era pronto, nel caso che…ma non era stato necessario.

Troppa insistenza non convinceva, anzi era indice che qualcosa non andava.

Rimaneva difficile credere che la grande, anzi “intensa”  azione della diplomazia italiana, che certo non vince la classifica mondiale del settore, fosse riuscita a convincere un governo somalo che quasi non c’è (al punto che l’altro giorno il tema è stato al centro dei colloqui preoccupati tra Hillary Clinton e il Governo sudafricano) e un governo regionale del Puntland, le cui coste sono casa e rifugio per i pirati, dal  favore e forse denaro dei quali un pochino forse qualcuno trae vantaggio .

Come restava difficile credere che i pirati somali avessero lasciato libera una nave senza riscatto, solo per le pressioni di governi, Somalia e Puntland, semi fantasma, per non dire ultra corrotti, quando il valore medio supera ormai il milione di euro a botta.

Infatti il governo italiano ha pagato. Però, ragazzi, i nostri hanno battuto tutti: hanno pagato da tre a quattro volte il valore dell’ultimo riscatto. Vero è che sulla nave tedesca c’erano solo filippini e che dieci italiani possono anche valere un multiplo di quanto valgano quaranta filippini.

Viene anche il dubbio che l’astuto Bartolotti, mettendo subito le mani avanti, abbia spinto Frattini in una trappola dalla quale esce alquanto malconcio. Oltre che dai pirati, il ministro è smentito anche da una organizzazione umanitaria che si occupa di assitenza ai marittimi in quell’angolo del globo dove a quanto pare i marittimi ne hanno proprio bisogno.

Lo sbugiardamento di Frattini è grave per una serie di ragioni, oltre a quella dell’orgoglio nazionale. A quanto risulta è infatti la prima volta che un governo paga il riscatto per un equipaggio in mano ai pirati. Finora il riscatto l’hanno pagato gli armatori mentre i governi liberavano gli ostaggi “manu militari”. Ma era evidente  che non c’erano alternative: o il blitz o il riscatto. I nostri governanti ci hanno provato a farci credere di avere trovato una terza via, ma la costruzione è crollata dopo dodici ore.

Fin dall’inizio c’erano cose che non tornavano. La prima notizia parlava di “lungo lavoro di contatti”, ” collaborazione delle autorità somale e della regione del Puntland”  e “lavoro svolto sul terreno da parte dell’intelligence italiana”.

Nessuno però aveva provato a spiegare che genere di contatti fossero stati sviluppati (i vecchi amici di Craxi in Somalia riesumati dall’ex sottosegretario Margherita Boniver? Non c’è nulla di peccaminoso, perché non dirlo?) o quali promesse fossero state fatte (magari quando, a giugno,  il primo ministro somalo è stato a  Roma da Silvio Berlusconi) per arrivare al punto di abbandonare la nave ai nostri militari: “I pirati si sono ritirati”, ha detto il ministro italiano, così, perché hanno capito.

Le forze speciali erano imbarcate in abbondanza sulla nave San Giorgio, ha riferito a un certo punto  l’Ansa, e sono ” intervenute per prelevare i marinai una volta che i pirati hanno lasciato campo libero”. Conferma dell’armatore Bartolotti: “Al momento convenuto i militari sono saliti a bordo del Buccaneer e hanno preso possesso della nave”.

Proprio una bella favoletta. Ma che ci fanno, sul terreno, i servizi segreti? O trovano gli agganci per una azione contro terroristica del tipo di quella attuata dai colleghi filippini per arrivare alla liberazione del nostro connazionale Eugenio Vagni o cercano di capire chi siano le persone giuste cui dare i soldi del riscatto senza essere bidonati. Visto che l’Italia non è le Filippine e certe operazioni da noi non si fanno, restava solo la strada del riscatto. Perché non dirlo? Perché pensare che la gente si beva i comunicati e non si chieda il significato delle parole? Ecco un’altra indicazione: per evitare che quei poveri militari che da mesi stavano lì, apparentemente con le mani in mano, non se ne avessero troppo a male, il ministro degli Esteri dovuto parlare anche di “lavoro eccellente” dell’intelligence e delle forze speciali coinvolte e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha lodato l’ “impegno silenzioso”  e la “grande professionalità” dei nostri militari.

Sarebbe poco rispettoso dell’intelligenza di due ministri, ancorché italiani, pensare, come loro pensano di noi, che questo spreco di elogi fosse destinato a gente che stava a prendere il sole sui ponti della nave San Giorgio, in attesa che questa facesse un lavoro che avrebbe tranquillamente potuto fare la Croce Rossa.

C’era perfino venuto un dubbio ricordando un particolare. A un certo momento, le autorità del Puntland hanno accusato il Buccaneer di trasportare sostanze tossiche. La cosa poi è caduta: strano comportamento. L’esperienza insegna che quando un’autorità, di polizia o di governo, muove una accusa così grave, difficilmente la lascia cadere, se non altro per salvare la faccia. Cosa è successo per garantire anche su questo fronte? Sta nei milioni di dollari, quattro o cinque, pagati?

Troppe cose non sono state dette, troppe cose non sono state spiegate e questa reticenza e queste bugie gravano come una brutta ombra sulla luce della liberazione di quei sedici uomini. Possibile che ci ritengano così immaturi da non poterci ancora dire come nascono i bambini?

Lunghe ore di attesa sul ponte della Buccaneer per i marinai in ostaggio dei pirati