Il caso di Marica Ricutti e Ikea: la giustizia è giusta solo se mi dà ragione Il caso di Marica Ricutti e Ikea: la giustizia è giusta solo se mi dà ragione

Marica Ricutti-Ikea: la giustizia è giusta solo se mi dà ragione

Il caso di Marica Ricutti e Ikea: la giustizia è giusta solo se mi dà ragione
Marica Ricutti-Ikea: la giustizia è giusta solo se mi dà ragione (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Marica Ricutti-Ikea e cioè uno, solo uno, degli infiniti casi, anzi della regola secondo la quale la giustizia è giusta solo se mi dà ragione.

La storia: Marica Ricutti è una dipendente di Ikea, lavora lì da quasi 20 anni. Ikea la licenzia. Lei comprensibilmente fa causa ad Ikea e si rivolge alla magistratura. Il sistema della comunicazione presenta la vicenda sotto la fattispecie del non si licenzia una mamma, e poi una mamma così…Marica Ricutti ha infatti due figli e uno di loro è portatore di handicap e invalidità. Ai primi resoconti di stampa e tv, Ikea sembra spacciata e inchiodata alla responsabilità di un suo gesto di aziendale crudeltà.

Marica Ricutti-Ikea: la cuasa, la vertenza giudiziaria diventa sentenza. E il giudice, carte e circostanze, fatti e testimonianze alla mano, dà ragione a Ikea. Scrive il giudice che il licenziamento è legittimo, trova fondata causa in “comportamenti tali da ledere il vincolo di fiducia”, comportamenti da parte di Marica Ricutti.

Viene provato e documentato come 15 volte su 17 Ikea abbia accolto le richieste della dipendente in relazione a tempi e modi della prestazione lavorativa. Provato e documentato come Ikea abbia come da legge sempre garantito i permessi e le esenzioni dal lavoro stabiliti dalla legge 104 per la tutela e accudimento di familiari con handicap. Provato e documentato come ciò non abbia influito sulla carriera della Ricutti, infatti promossa a capo si un settore. Provato e documentato come in alcune occasioni Marica Ricutti abbia modificato il suo orario decidendo da sola e non informando nessuno. Provato e documentato come una volta abbia chiuso la cassa del settore food e si sia assentata.

Questo dice il giudice che dà ragione ad Ikea sostenendo che il licenziamento trova ragione e fondamento nelle azioni della dipendente. Ma il sindacato (nel caso la Cgil) e gli avvocati e ovviamente la stessa Ricutti e sicuramente molti che apprendono la notizia si dichiarano “sbalorditi” e “feriti”.

La Cgil per bocca dei suoi rappresentanti parla di “cedimenti agli interessi delle multinazionali” e di “discriminazione di genere”. Insomma di giustizia sommamente ingiusta e ingiusta per motivi tutt’altro che limpidi. Giustizia prona ad Ikea e anti donne, questo dice la Cgil.

Ora noi non sappiamo della vicenda come testimoni diretti dei fatti. Così come non sanno e non sono testimoni diretti praticamente tutti. Proprio per questo ci si affida ad una procedura che accerti i fatti (indagine-processo) e ad una struttura terza e diversa dalle parti in conflitto perché decida (magistratura). Il senso civile, la civiltà del meccanismo sta nello…starci. Nell’accettare che la parte terza decida chi ha ragione e chi ha torto. Ma questo senso civile e questa civiltà sono ormai dissolti da un diffusissimo e celebratissimo concetto tribale della giustizia.

Non c’è processo penale o civile ormai in Italia in cui le parti in causa assicurino di chiedere e volere “solo giustizia”. Ma la giustizia nella testa di tutti e di ciascuno non prevede si possa soccombere in giudizio, avere torto, avere sentenza avversa. La giustizia è giusta solo se mi dà ragione: è questo il comandamento, il convincimento, il comportamento. Altrimenti è, manco  dirlo, malagiustizia.

Noi non sappiamo se Marica Ricutti abbia ragione o abbia ragione Ikea. Non lo sappiamo e non dobbiamo saperlo noi. Così come non deve saperlo o pretendere di saperlo uno chiunque davanti a una tastiera. Uno può pensarla come gli pare ma a saperlo chi ha ragione abbiamo chiamato le leggi e la magistratura. Alla parte terza, alla magistratura la delega a saperlo. Se ogni giorno ritiriamo questa delega, se gridiamo alla giustizia giusta quando ci dà ragione e ingiusta quando ci dà torto forse non lo sappiamo ma invochiamo non la giustizia ma il bastone più grosso sulla testa della tribù avversaria in nome della potenza della nostra tribù.

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