Meloni ovvero il potere “ai tempi di Giorgia”, Bisignani e Madron disegnano una mappa, Salvatore Sfrecola, che conosce quel mond dall’interno, recensisce sul suo blog, Un Sogno Italiano.
È sempre difficile tracciare realmente una “mappa” del potere politico in un determinato momento storico, con il rischio di non riuscire ad individuare chi effettivamente muove le leve che contano nel Governo, in Parlamento e nei Consigli di amministrazione dei più importanti enti pubblici.
Ci provano e, in gran parte, ci riescono Luigi Bisignani e Paolo Madron (“I potenti al tempo di Giorgia”, Chiarelettere, Milano, 2023, pp. 227, €16.00).
“In una “incalzante conversazione, raccontano la lotta in corso per entrare nelle stanze dove si decidono le sorti del paese e per sedersi ai tavoli che contano davvero”, come si legge nel risvolto della prima di copertina. E in effetti il volume, fin dal Prologo, fa capire che l’analisi del potere sarà a tutto tondo, partendo dal prima, dal contesto nel quale si è delineata l’ascesa al Governo di Giorgia Meloni, leader di un partito che nel giro di pochi anni è diventato il primo del Centrodestra togliendo la scena a Silvio Berlusconi.
Quest’ultimo non ha gradito tanto da esibirsi, in alcuni casi, in un patetico tentativo di accreditarsi come centro del potere. Come nel caso, che il libro non cita, dell’incontro nella sede di Fratelli d’Italia, in via della Scrofa, evidentemente non gradito al Cavaliere che, all’uscita, aveva detto ai giornalisti che Giorgia Meloni, la quale sarebbe stata incaricata di formare il Governo, gli aveva chiesto di farle da consigliere.
Una cosa evidentemente non vera, ma che dimostra l’insofferenza di Berlusconi per la perdita del ruolo di elemento centrale della coalizione, platealmente resa evidente da quel foglietto esibito in Senato ad uso della stampa, che il libro richiama più volte. In esso il Cavaliere elencava i difetti caratteriali, e non solo, della leader di FdI, “supponente, prepotente, arrogante e offensiva”, mentre si stava per decidere la votazione per il Presidente del Senato che conquisterà il seggio più alto di Palazzo Madama grazie all’aiuto di Carlo Calenda e Matteo Renzi, formalmente all’opposizione.
Un evento che, tra le righe, fa intravvedere scenari futuri e in qualche misura prevedibili, auspicati o temuti, da chi intorno a Giorgia Meloni conta su un Governo di legislatura, cosa assolutamente possibile, ma soprattutto su una riconferma, quando l’elettorato sarà chiamato a giudicare l’azione del Governo.
Una realtà racchiusa in una frase: “Chissà se Giorgia Meloni, la “rising star” della politica italiana secondo il “Financial Times”, ha davvero inaugurato una nuova stagione o invece rischia di essere una disillusione, come lo è stato Matteo Renzi”. Che della Meloni, si legge nel libro, l’occasione di inciampo potrebbe essere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) perché “se a causa dei ritardi sull’attuazione dei programmi presentati a Bruxelles l’Unione europea non ci dà i soldi, i conti pubblici saltano e per il governo sono guai”.
Fin qui il Prologo, che dice anche di una leader che “di nessuno si fida del tutto”. Che poi in parte viene smentita nel corso del volume che dà conto di alcune collaborazioni che ritiene preziose. Prima di tutti quella di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, già magistrato, una lunga esperienza politica, quale senatore e Sottosegretario agli interni nel governo Berlusconi-Fini.
Mantovano “al Colle è legato a doppio filo”, uomo “estremamente religioso, forse il più conservatore sui temi etici… molto vicino da sempre alla Chiesa”. Mantovano è l’animatore del “Centro Studi Livatino” intestato al giovane magistrato ucciso dalla Mafia, fatto Beato dalla Chiesa, che vorrebbe divenisse il patrono dei magistrati, visto che gli avvocati ne hanno uno.
“In Vaticano è da molto tempo la vera eminenza dell’estrema destra conservatrice italiana”, un “fine tessitore”, “l’usato sicuro” del quale Giorgia Meloni aveva bisogno a Palazzo Chigi, il luogo politico del coordinamento dell’azione dei ministri, per la quale occorre un conoscitore delle regole degli apparati ministeriali. E chi meglio di un magistrato. Come Carlo Deodato, del Consiglio di Stato cui è attribuito il delicato ma fondamentale incarico di Segretario Generale.
Un ruolo importante, riconosciuto, nel cuore di Giorgia Meloni, lo ha Guido Crosetto, il “gigante buono… l’unico con il quale ha un rapporto alla pari”, uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, potente Ministro della difesa, un cattolico liberale che ha facilitato Giorgia nel percorso di avvicinamento ai sacri palazzi, comunicatore efficace, polemico all’occorrenza.
Non proviene dalMSI né da Alleanza Nazionale e questo consente a Giorgia Meloni di presentarsi come inclusiva rispetto alle componenti del centro destra di ispirazione risorgimentale, per semplificare, come appunto un liberale piemontese che non può non avere in mente le straordinarie intuizioni del Conte di Cavour ancora oggi non realizzate, come nella politica di efficientamento dell’amministrazione pubblica e dello sviluppo delle comunicazioni ferroviarie.
Tra i fedeli, oltre alla sorella Arianna, moglie di Francesco Lollobrigida, spicca il ruolo di Patrizia Scurti la Segretaria-Assistente, una presenza costante, discreta, premurosa, affettuosa. Forse per questo, si legge nel libro, la chiamano “Wolf”.
Ricordo un episodio che ho notato personalmente dinanzi al televisore. A Cutro, durante la conferenza stampa all’aperto nella piazzetta dinanzi al Municipio, giunta la sera, evidentemente c’era umidità. Patrizia Scurti, rapidissima, si porta dietro al tavolo e poggia un giacchetto sulle spalle della Presidente. Un gesto affettuoso.
Patrizia Scurti accompagna Giorgia Meloni fin da quando, nel 2006, Giorgia divenne Vicepresidente della Camera. Le fu consigliata da Gianfranco Fini. La Presidente lo considera “il miglior regalo che le sia mai stato fatto”. Ha il tatto per sapere quando e dove può intervenire. “Quando Giorgia litiga con qualche ministro, è sempre lei che ha l’autorevolezza per riallacciare il rapporto”.
Altro punto di riferimento per Giorgia Meloni è Giovanbattista Fazzolari, il suo “uomo ombra”, il “più ascoltato”. Sottosegretario all’attuazione del programma, è stato “uno dei kingmakers nella tornata di nomine dell’aprile 2023 che ha cambiato i vertici delle più importanti società pubbliche”. Figlio di un ambasciatore è “il più blasonato” tra il gruppo degli originari amici di Giorgia Meloni, composto da Francesco Lollobrigida, Carlo Fidanza, Giovanni Donzelli Andrea del Mastro, Galeazzo Bignami, Federico Mollicone, Marco Marsilio, Augusta Montaruli.
Tutti in posizioni di responsabilità. I loro nomi ricorrono qua e là nel libro per ricordarne gli incarichi di partito, parlamentari o di governo.
Né vengono trascurati coloro con i quali, secondo il libro, i rapporti non sono idilliaci, come Fabio Rampelli, che forse avrebbe desiderato correre per Sindaco di Roma, Ministro o Presidente della Regione Lazio, rimasto a fare il Vicepresidente della Camera come nella passata legislatura.
O come Adolfo Urso, forse troppo attivo, un carattere difficile “combattuto tra l’ossessione di apparire sui media e il terrore di essere visto, osservato, ascoltato”. La sua Fondazione Fare Futuro si avvale della collaborazione di eminenti personalità della cultura, anche specialistica, giuristi, economisti, scienziati. La sua rivista Charta Minuta, diretta da Mauro Mazza, ex direttore del TG2, è una presenza puntuale nel dibattito politico.
Ricorre spesso nel libro il nome di Gennaro Sangiuliano, brillante Ministro della cultura, ex direttore del Roma e del TG2, autore di numerose biografie (esce in questi giorni, dedicata a Giorgia Meloni, una nuova edizione della sua biografia di Giuseppe Prezzolini, con la prefazione di Francesco Perfetti e la postfazione di Vittorio Feltri).Bisignani e Madron lo considerano il vero “ministro della propaganda” il quale si accredita agli occhi di Meloni come “il paladino dell’italianità culturale offesa”.
Impegnato in Italia e all’estero, ha coinvolto intellettuali e artisti come Marcello Veneziani, Pietrangelo Buttafuoco e Beatrice Venezi che lo hanno accompagnato a Parigi al Festival du Livre dedicato al tema “Passions italiennes”.
Naturalmente il libro segue passo passo i momenti salienti della storia politica di Giorgia Meloni, alcuni aspetti personali, la sua iniziale attività nella Sezione del Movimento Sociale Italiano del Colle Oppio. Poi alla Garbatella fino alla esperienza parlamentare e di governo come Ministro della gioventù nel 2011, poi la vittoria elettorale in larga misura prevista dai sondaggi, e l’esperienza di governo che va facendo, con puntuale concreta presenza a livello interno ed internazionale.
Anche con una notevole capacità di gestire gli strumenti dell’informazione televisiva e dei giornali, avvalendosi anche da qualche tempo di Mario Sechi, già direttore del Il Tempo e dell’Agenzia Giornalistica Italia (AGI), nominato Capo del dell’Ufficio Stampa di Palazzo Chigi.
Ricordi personali, amicizie e anche ovviamente ostilità manifestate o subite. Un libro che si potrebbe anche definire un programma politico e di governo che si sarebbe potuto intitolare “l’occasione” (lo scriverò io) del Centrodestra, in attesa di capire quale evoluzione potrà avere adesso che Silvio Berlusconi ha abbandonato la scena, non avendo predisposto un’adeguata successione, ciò che accade frequentemente in Italia, dove politici e artisti non fanno scuola.
Il Cavaliere aveva un tempo indicato come possibile, futuro capo di Forza Italia Angelino Alfano, per poi comprendere che non aveva il quid necessario per il ruolo, poi Giovanni Toti, giornalista, per poco tempo ufficialmente portavoce del partito.Toti se ne è poi distaccato per fondare un autonomo movimento e partecipare alle elezioni per Presidente della Regione Liguria.
È un libro molto interessante che va a letto e riletto per capire, fra le righe, quello che giornalisti dell’esperienza di Bisignani e Madron hanno voluto dire, anche soltanto con qualche battuta in alcune occasioni. Ma che, a mio giudizio, trascura un aspetto che io ho sempre ritenuto molto importante quando si parla del potere e dell’esercizio del potere, cioè del passaggio dal successo elettorale all’impegno di Governo.
Se si esclude Carlo Deodato, Segretario Generale della Presidenza del Consiglio, Gaetano Caputi, Capo di gabinetto alla Presidenza del consiglio e Federico Eichberg, Capo di gabinetto del Ministro Urso, non si fa riferimento a personalità che nelle amministrazioni svolgono funzioni importanti, di rilievo politico, ancorché tecnici, Consiglieri di Stato e della Corte dei conti, Avvocati dello Stato, che possono guidare i ministri decidere spesso non solo sull’adozione di provvedimenti, la stesura di leggi e regolamenti, ma dire la loro nelle nomine.
Si tratta di quei Grand Commis d’Etat, Capi di Gabinetto e degli Uffici legislativi, Consiglieri giuridici che sono notoriamente l’espressione del potere. Chi non lo comprende può avere significative sorprese, una lobby potente che si autoalimenta, spesso sotto l’occhio benevolo dei vari inquilini del Quirinale, e che sopravvive ai governi.
Ed, infatti, a scorrere l’elenco dei collaboratori dei ministri, ricorrono i nomi di coloro che nei precedenti governi avevano svolto le medesime funzioni, magari in un’altra amministrazione. È l’aspetto debole del Governo Meloni, quella che fu all’origine dell’“occasione mancata” del Governo Berlusconi-Fini.
I “mandarini” della Repubblica sono la “nomenklatura” del potere, sono, tra baciapile e laici fraternamente legati, “chi comanda davvero in Italia”, come si legge nel titolo del libro di Roberto Mania e Marco Panara che ha aperto la strada a successivo approfondimenti, come “io sono il potere – confessioni di un Capo di Gabinetto”, del quale ancora si ricerca l’autore in una cerchia di “gabinettisti” che, a mano a mano si restringe, considerato che molti scrivono ma pochi “sanno” scrivere. E quel libro è una lettura piacevole oltre che istruttiva.
Come “Potere assoluto” di Sergio Rizzo, giornalista brillante, investigatore sagace di ciò che accade nelle stanze del potere e fustigatore coraggioso delle malefatte della “casta”.
Un Governo che si consegna alla lobby dei grand commis, senza scegliere quelli che hanno anche un orientamento “culturale”, in qualche modo ideologico, che consente agli apparati amministrativi di riconoscerli come parte della “missione” governativa, naviga con una zavorra pericolosa che, alla lunga, può manifestare tutta la sua capacità di costituire un freno subdolo per l’azione amministrativa. Perché nessuno intende alienarsi le simpatie dei partiti dei vecchi governi, in vista di una possibile, futura alternanza.