NON E’ COME LA CRISI DEL ’29

Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Angelo Panebianco sulle analogie tra l’attuale crisi finanziaria e quella del 1929 intitolato ”Le facili profezie”. Lo riportiamo di seguito:

”Spiegare l’ignoto attraverso il già noto, cercare di orientarsi di fronte agli eventi inattesi rifacendoci ai precedenti, alle nostre personali esperienze passate o alle esperienze di altri di cui siamo venuti a conoscenza, sono attività in cui tutti siamo continuamente impegnati, spesso anche inconsapevolmente. Si spiega anche così il fascino irresistibile che esercitano sempre le analogie storiche. L’analogia storica ha la rassicurante caratteristica di darci una spiegazione facile, di immediato consumo, di eventi che, in assenza del ricorso all’analogia, resterebbero incomprensibili, e dunque, proprio perché incomprensibili, ancora più spaventosi di quanto già non siano.

Gli sconvolgimenti del mercato finanziario americano, il protrarsi e l’aggravarsi di una crisi della quale non si vede la fine, l’alternarsi di salvataggi (le agenzie finanziarie Fannie Mae e Freddie Mac e a quanto pare anche il colosso assicurativo Aig) e di clamorosi fallimenti (la grande banca d’affari Lehman Brothers), con tutte le conseguenze a catena che ne derivano, ha reso irresistibile per i mass media il riferimento al ’29 e alla Grande Depressione degli anni Trenta. Una crisi cominciata con il crollo di Wall Street e propagatasi a tutto il mondo con effetti economici catastrofici e immani sconvolgimenti politici. Quella crisi portò in America alla reazione del New Deal di Franklin Delano Roosevelt ma diede anche il colpo di grazia alla Repubblica di Weimar spianando la strada del potere a Hitler. E fece vacillare, e anche crollare, molti altri regimi politici. Non solo a quella crisi, ma anche a quella crisi, va fatta risalire la catena di eventi che finì per far precipitare il mondo nella Seconda guerra mondiale. Nonostante il fascino dell’analogia, il ’29 c’entra poco con ciò che sta accadendo. Lo ha spiegato benissimo Alberto Alesina (Il Sole 24 Ore di ieri). La Grande Depressione fu l’effetto di politiche radicalmente sbagliate adottate dalla presidenza Hoover e dalla Banca Federale (restrizione della liquidità, misure protezioniste, comportamenti punitivi nei confronti degli «speculatori »). Un insieme di risposte sbagliate che portarono al disastro sia l’America che il resto del mondo.

Ci sono quindi due ottime ragioni per respingere l’analogia con il ’29. La prima è che la storia ci insegna più cose quando ce ne serviamo per evidenziare le differenze (fra ieri e oggi) e non soltanto le somiglianze. La seconda, di sostanza, è che gli ammaestramenti del passato pesano sull’oggi. La vera utilità del richiamo al ’29 e alla Grande Depressione è sempre consistita nel suo ruolo di spauracchio. Quel richiamo funziona come una profezia che si autofalsifica. Mette in moto comportamenti che ne assicurano la non evenienza. Come, ad esempio, mostrarono le reazioni efficaci alla gravissima crisi asiatica del 1997.

Naturalmente, come tutti gli esperti ci dicono, la crisi continuerà a dispiegarsi per un certo tempo, mieterà ancora molte vittime e richiederà, come auspica il governatore di Bankitalia Mario Draghi, un’azione internazionale concertata di ridisegno di molte regole. Ma prima o poi finirà lasciandoci in eredità, sperabilmente, mercati finanziari in tutto o in parte risanati.

Ciò che non è affatto chiaro è quali saranno le ricadute politiche della crisi. I «declinisti», i sostenitori della tesi secondo cui gli Stati Uniti sono una potenza ormai in declino, ne trarranno probabilmente la conclusione che questa crisi finirà per accelerare le dislocazioni di potenza già in atto nel sistema internazionale. Più la crisi finanziaria americana dura, maggiore è lo spazio di manovra politico a disposizione delle potenze emergenti. Alla fine, un’America ridimensionata dovrà cedere lo scettro di superpotenza e acconciarsi al ruolo di grande potenza in mezzo ad altre grandi potenze (Cina, Russia, India, e forse altre ancora). In un’altra, e opposta, interpretazione, la «distruzione creatrice» che è tipica (secondo l’economista Joseph Schumpeter) del procedere del capitalismo, eliminando ciò che non è più vitale, e risanando il sistema finanziario, finirà per dare rinnovato vigore alla potenza americana. A seconda di quale delle due interpretazioni risulterà corretta, la storia politica mondiale dei prossimi decenni prenderà una direzione o l’altra”.

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