Nord e Sud d’Italia: e se divorziassero? Stipendi, scuola, costo della vita, bandiere, storia, umori: sempre meno in comune

Tra litigi e notti d’amore, piatti rotti e tenere carezze, rate, bollette da pagare e aumenti di stipendio da incassare e spendere, per molti decenni, più bene che male, hanno convissuto. Erano diversi e diversi sono rimasti, come accade a ciascun componente della coppia durante un matrimonio. Ma, appunto, vivevano insieme, avevano, come dice la sociologia televisiva, un “vissuto comune”. Poi, ed è storia relativamente recente, hanno cominciato a comportarsi da separati in casa: poche nervose reciproche parole, sempre le stesse, sempre più condite di stizza. Un monotono rinfacciarsi i rispettivi difetti, un sottofondo recriminante l’un contro l’altro mormorato. A voce sempre più alta. Adesso, ancora adesso nessuno dei due è andato dagli avvocati, però l’aria è quella del divorzio. Non ci sono le carte, ma le condizioni per divorziare ci sono tutte o quasi. E se Nord e Sud d’Italia divorziassero, per stanchezza, deriva, inerzia ancor prima che per improbabile scelta?

Il “divorzio” è nella pelle del paese. Se l’Italia è un corpo, la sua epidermide diventa “d’oca” quando Nord e Sud si toccano. Sensazione e sentimento superficiali, di pelle appunto. Ma in una unione, quando non ci si tocca più…Basta la notizia, in fondo nessuna notizia è cosa nota da sempre, che il costo della vita sia inferiore nel Mezzogiorno e subito la “pelle” diventa un ispido agrume, un acido umore. “Differenziamo gli stipendi…”. “E allora differenziamo anche le tasse…”. Se sotto non ci fosse insofferenza sarebbero chiacchiere sciocche. Ma non sono programmi, intenzioni, progetti, sono invettive lanciate per offendere.

Basta la notizia, in fondo neanche tanto notizia, che la scuola italiana, fabbrica di inutili diplomi, conosce al Sud il suo momento di peggior lassismo e subito vengono a galla le richieste, appena ieri lanciate dal Nord, di non avere per i propri figli insegnanti meridionali che laurea e abilitazione l’hanno presa dove costava un tanto al chilo. E’ razzismo, sì puro razzismo il no all’insegnante meridionale. Ma è un fatto che l’insegnante italiano, statisticamente più merdionale che altro, conosce e pratica un deficit di professionalità.

Non è che poi il Nord sia una fucina di cultura: l’idea di tanto successo e popolarità di prevedere corsi e insegnamenti di tradizioni locali è quanto di più ignorante di ogni umanistica e letteraria disciplina si possa pensare. Ma questo è quello che pensa molto Nord che di pensare ha perso il gusto, l’abitudine e gli strumenti.

C’è la tv “padana” che se la prende con Garibaldi, racconta una storia tutta sua in cui sono i massoni e gli stranieri a volere l’unità d’Italia che al massimo doveva fermarsi all’Umbria. Sono ormai quasi venti anni che la versione ufficiale parla al riguardo di “folklore leghista”. Non è folklore, anzi lo è nel significato preciso di folklore: cultura popolare. Solo che la cultura popolare è un mito senza sostanza, come quello del buon selvaggio. C’è la Lega di governo che vuole cambiare la Costituzione per cambiare la bandiera. Sì, adesso sono di governo, prima il tricolore lo volevano mettere al cesso, ora si accontentano di metterlo in coppia con le bandiere delle Regioni. Ma il messaggio è sempre lo stesso: quella italiana non è la nostra bandiera. Infatti non c’è Parlamento europeo dove gli eletti di un partito regolarmente mostrino al taschino un altro vessillo, altro da quello nazionale, quello verde. Insomma, c’è la Lega che smonta i pezzi d’Italia mentre monta i pezzi del divorzio.

Ma la Lega non trova ostacoli o chi la smentisca o chi faccia il lavoro opposto. Trova solo estimatori, imitatori. Al Sud provano ad organizzarsi con i mezzi che hanno: se provano a fare una Lega gli viene una clientela. Il Sud è fatto così. Una lobby non sanno farla, quando va bene è appunto clientela, quando va male è camorra. non ne possono più dei “nordisti”, ma la loro reazione non è nazionale o collettiva, è fatta di “famiglie” che si organizzano per resistere, ciascuna dentro casa sua.

E la sinistra politica…Il Pci, i comunisti, niente meno che i comunisti, erano riusciti ad identificarsi con la nazione. La sinistra che c’è, di qualunque tipo, si identifica invece con qualche corporazione o alleanza di corporazioni: i pensionati, i dipendenti pubblici. Oppure gli “anti Berlusconi”. Tutti ripetono come cantilena che “bisogna radicarsi nel territorio, come fa la Lega”. Ma il territorio-nazione lo hanno abbandonato giudicandolo non presidiabile.

Nè il Sud di governo nè la sinistra di opposizione fanno nulla contro il “divorzio”, se non rivendicare parte della proprietà prima che sia troppo tardi oppure gridare alla tragedia imminente. L’unico fenomeno politico che impedisce l’avanzare del divorzio è Silvio Berlusconi. Autentico fenomeno politico: governare con la testa e il cuore, e anche il portafogli, rivolti al Nord, però con i voti del Sud. Ma quando il mastice Berlusconi si scollerà?

Sul lungo periodo non solo come diceva l’autoironico economista “saremo tutti morti”. Sul lungo periodo le nazioni si fanno e si disfano. Farle è sempre un’epopea, quasi mai un errore, quasi sempre una convergenza di vettori della storia cui gli umani danno al massimo una mano. Disfarle non sempre è impossibile, spesso è un dramma ma non è detto. Anche qui convergono o divergono vettori economici, sociali e culturali di cui Leghe e Controleghe sono più effetto che causa. E’ probabile che lo sfarinarsi d’Italia sia, se procede, alla fine un grosso guaio. Come quasi tutti i divorzi, si sa che costano, soldi e lacrime. Ma questa consapevolezza da sola non ha mai fermato nessun divorzio. Diciamo allora che il divorzio tra Nord e Sud d’Italia è come l’indissolubilità del matrimonio tra un uomo e una donna: una risposta sbagliata ad un problema reale.

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