Nordio, Carlo, ministro della Giustizia che vorrebbe riformare in contrasto con i suoi ex colleghi magistrati.
È ovvio che non c’è una regia. Ma l’imputazione per Delmastro, il caso La Russa jr, il caso Santachè, la perquisizione a casa Dell’Utri, il caso del consigliere comunale di FdI che voleva vendere i segreti Matteo Messina Denaro. Ora il caso Avanguardia Nazionale di Delle Chiaie ed il complotto fascista contro la magistratura, con rapporti in alte sfere. È una Babele di voci che hanno origine in un mondo, quello giudiziario.
Soprattutto questo ultimo spezzone di indagine che ha portato a degli arresti per la legge Anselmi, quella che si promulgò in seguito all’eversione massonica di Licio Gelli, ci riporta indietro come una macchina del tempo.
L’inchiesta ha origine, come tante trame d’Italia, in Sicilia. Il gruppo eversivo si faceva chiamare “centro di gravità”, che volendo un po’ sminuire la tensione fa tanto Battiato, che si metterebbe a ridere di costoro.
Ma la tensione c’è, e i tentativi di riforma, unilaterale e non condivisa, della Giustizia certamente coadiuvano un clima di sospetti e delegittimazione reciproca. Trent’anni fa, quando fu fatto fuori il regime, per alcuni impegnati togati, democristiano, la DC massacrata dalla magistratura e dalla propria insipienza si sciolse il 26 luglio del 1993. Da allora il cortocircuito magistratura-politica ha reso questo paese ingovernato ed ingovernabile.
La delegittimazione reciproca dei due poteri dello Stato, esecutivo e giudiziario, hanno di fatto reso impotente il terzo, quello legislativo, ridotto al ruolo notarile, e sfiduciato i cittadini sia nei confronti dei politici che dei magistrati.
La frase più falsa d’Italia non è più sono fedele a mia moglie, ma ho fiducia nella magistratura. Nella politica la fiducia era già da tempo una chimera. Stiamo, passo dopo passo, in alcuni casi a passo di carica, vedi intervista del Presidente del Senato sull’autoassoluzione familiare del figlio Apache, distruggendo il concetto stesso di Istituzioni.
Il fantomatico popolo è spettatore diviso tra l’essere attonito e ultra. Dalla Repubblica democratica fondata sul lavoro a quella fondata sull’emoticon.
Nel trailer dell’inchiesta di Caltanissetta si promette un thriller ad effetto, con trame piduiste, piste nere sulle stragi del 92, incredibili colloqui tutti da accertare, ma già sconcertanti, con la sorella della Premier, osservatori da dossieraggio da istituire con apporto di capitali, perché si sa, spiare costa. Ma è una Repubblica seria questa? O è tutta una fiction?
Intanto a Firenze si va avanti con il processo dei processi, il Maxiprocesso italico sulle stragi del 93, sulle sibilline dichiarazioni dei Graviano, le foto del loro gelataio di fiducia. In quella fantastica foto, decantata ma che agli atti non c’è, da film di spionaggio, due protagonisti visti da Giletti sono già morti, Il generale Delfino e Berlusconi, certo se succedesse qualcosa a Graviano il sospetto diventerebbe pesante.
L’unico che potrebbe dipanare questa matassa onestamente orribile di trame, soldi, segreti, servizi, orribile politica, poteri occulti e occlusi, sarebbe l’ineffabile Marcello Dell’Utri. Ma se c’è una certezza, almeno una in Italia, è che Marcello, l’uomo che faceva i ministri, si avvalga della facoltà di non rispondere.