I bambini, in Italia sono pochi. Gli asili nido, invece, pochissimi. Così, se in Europa, circa il 90% dei piccoli di età compresa tra 0 e 3 anni ottengono un posto in una struttura che è considerata un diritto, nel nostro Paese nove bimbi su dieci sono costretti a rimanere a casa.
Quando va bene con i nonni, quando va male, invece, con le baby sitter per chi può permettersele, o trovando una sistemazione arrangiata che cambia di giorno in giorno. Un destino che coinvolge l’89% dei bambini italiani, esclusi dalle graduatorie che assegnano i pochi posti disponibili.
Graduatorie che sono una vera e propria lotteria dai criteri di selezione spesso imperscrutabili: i genitori disoccupati, per esempio, hanno diritto a un punteggio più basso degli occupati. Una filosofia che suona così: se non hai un lavoro, invece che cercarlo, stai a casa con tuo figlio.
Ma il problema ultimo rimane la carenza di posti e di strutture adeguate per la prima infanzia. Secondo Anna Teselli, ricercatrice del centro studi Ires-Cgil, rispetto al 2005 «pochissimo è cambiato, se non la crescita esponenziale delle domande. Il problema è che non si ritiene il nido una esigenza pedagogica, ma soltanto un luogo dove parcheggiare i figli. Un’idea di welfare residualistico, che continua a considerare la famiglia come la vera rete informale di assistenza. Il nido invece è fondamentale per i bimbi di oggi, che spesso sono figli unici, e lì possono socializzare».
Una situazione, in ogni caso, diversa da regione a regione: benissimo l’offerta in Toscana ed Emilia. In netto miglioramento la situazione nel Lazio. Male, invece, il sud: a Palermo restano a casa 4 bimbi su 5. I posti disponibili sono 336, ma le candidature sono state 1.856. A Napoli, invece, soltanto 1200 bambini potranno usufruire dei 30 nidi comunali. Pochi visto che, le statistiche sono impietose e rivelano che più tardi i giovani entrano nelle scuole, più presto tendono ad abbandonarle.