Il New York Times ha chiesto, con un editoriale, scusa. Lo ha chiesto ai suoi lettori e alla pubblica opinione internazionale. Nei primi minuti e nelle prime ore dopo l’esplosione nel parcheggio di un ospedale a Gaza aveva titolato e riportato della strage da bombardamento israeliano. Poi aveva, il giorno dopo, fatto partire inchiesta e verifiche. Entrambe hanno portato il quotidiano a chiedere pubblicamente scusa. Scusa di che? Di aver operato come in fondo fanno tutti belli e brutti, del gran circuito della comunicazione. Arriva una “news” su qualche piattaforma e da qualche fonte. Non c’è tempo, c’è l’obbligo furente dell’essere presenti “on time”. Non c’è tempo, l’obbligo furente trasforma quel che arriva “on line” in una entità dotata di passaporto per essere subito trasbordata “on time” sui mezzi di comunicazione.
Non c’è tempo perché non si vuole che ci sia e si è accettato che così sia. La “news” quasi sempre non necessita di essere vera e falsa per diventare “fatto” comunicativo. Una volta apparsa, essa è. Non ci sono né vengono richiesti (tanto meno dalle pubbliche opinioni) criteri di plausibilità. Le verifiche fattuali, quando poi ci sono, hanno effetti minimi se non inesistenti sulla “potenza” della news vera o falsa che ha viaggiato on time-on line.
La verifica giornalistica all’assertività della comunicazione del giornalismo on line-on time…gli fa un baffo. La verifica dei fatti non vince e non convince e non interessa se non segmenti minimi di pubblica opinione. Gran parte della stampa italiana se ne è fatta una ragione, agevolmente. Infatti considera la verifica fattuale ingombro e molestia alla efficacia e brillantezza del pubblicato e messo in rete.
D’altra parte se i quotidiani, i settimanali, i Tg, i talk-show e anche le agenzie di stampa dovessero ai lettori e a se stessi uno “scusateci” per ogni “news” on time-on line sballata, imprecisa, non verificata, implausibile, rifilata e girata subitaneamente alla gente…Scuse che peraltro sarebbero ben poco apprezzate dalla “gente” che in gran maggioranza non vuole tempo e fatica per conoscere, pensare, sapere, tato meno apprezza una informazione e un giornalismo che dovesse impiegare tempo e spazio per conoscere, pensare, sapere.