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Parità di genere, pochi la praticano, tanti ne parlano: infelice Schlein cita Levi Montalcini e ignora Curie

Parità di genere. L’emancipazione femminile è stata la più grande rivoluzione del XX secolo.

La parità di genere, seppur incompiuta, è stata raggiunta nei paesi dove la donna è padrona del proprio destino, può svolgere qualsiasi professione, partecipa alla vita politica, è disinibita nei costumi, sceglie liberamente l’uomo con cui vivere e non rinuncia alla maternità. 

La segretaria PD Elly Schlein, ha affermato che una donna può avere obbiettivi diversi da quello di fare figli: “Si può anche aspirare a diventare scienziate come la premio Nobel Rita Levi Montalcini”.

Questa infelice dichiarazione, ci deve far ricordare che madame Marie Curie aveva ricevuto due prestigiosi premi Nobel e generato tre figli.

Non credo che l’alternativa tra l’avere successo o il procreare, stia alla base della denatalità in Europa, declino che può essere spiegato, almeno in parte, su basi evoluzioniste. Se devo indicare una scelta di vita “nobile” che preclude la maternità, penso piuttosto all’eroica devozione delle monache negli ospedali e nelle missioni.

In occidente, sono i “maschi” balordi a essere incapaci di stare al passo con le moderne “amazzoni blu” e a cercare di sottometterle con metodi violenti. 

La tutela della donna può variare da paese a paese e dar luogo ad abusi. Negli Usa, si parla di “business” per indicare l’enorme quantità di cause per molestie sessuali promosse per fini mercantili, al punto che un uomo deve guardarsi dall’entrare da solo in ascensore con una esponente del gentil sesso.

Il patriarcato soffocante, sopravvive nella metà del pianeta: in Pakistan, Iran, Afganistan, Mauritania, Palestina e nelle monarchie islamiche del Qatar, Emirati Arabi uniti, Bahrein, Arabia Saudita. In questi paesi le donne rischiano la vita se non si coprono il viso, i capelli e le braccia.

In India, le donne continuano a subire sfregiamenti con l’acido ed è tuttora praticato l’infanticidio femminile. Secondo un sondaggio compiuto dalla Thomson Reuters, l’India è il quarto Paese più pericoloso al mondo per le donne, ed il peggiore tra i G20. 

Occorre sottolineare che tutte le nazioni che discriminano le donne hanno una costituzione che ne prevede l’assoluta uguaglianza. Quindi, fanno parte dell’Onu i paesi più oscurantisti della terra in tema di diritti civili. Gli unici paesi ai quali è stato sospeso il diritto di voto sono quelli poveri che non possono pagare il tributo annuale.

Le violenze sulle donne sono sempre state considerate “fisiologiche” nei periodi di guerra, durante i quali si sprigionano gli istinti primordiali del genere umano.

Tuttavia, ciò che è accaduto in Israele ad opera di Hamas, non ha precedenti nella Storia. Un’inchiesta del New York Times ha raccolto testimonianze terribili su questi episodi, con spunti di cannibalismo.

Vorrei solo ricordare la telefonata (registrata) di un “martire” palestinese ai propri genitori, nel corso della quale il terrorista racconta di avere violentato e ucciso numerose donne. L’aspetto più agghiacciante della vicenda è stata la risposta del padre: “Sono fiero di te”.

Non è più l’atto isolato di un individuo sotto l’effetto di droghe, bensì lo stupro pianificato a connotati etnico-religiosi, in odio di un popolo da parte di un altro popolo. Si è così innescata una spirale senza vie di uscita, che ha portato Israele ad adottare la strategia dei russi alle prese con i secessionisti ceceni (si parlò di 300 mila morti, in gran parte donne e bambini).

Affermava il neo-zar Putin: ”È inutile che i terroristi si nascondano, li inseguiremo ovunque fuggano, anche nel cesso. E li ammazzeremo nel cesso”.

Per quali ragioni le piazze del mondo occidentale dimenticano i traumi delle donne violate o prese in ostaggio, all’insegna dello slogan “Israele se l’è cercata”? Perché i terroristi possono vantarsi di stuprare donne indifese e pretendere di conservare una credibilità internazionale? 

Quella in corso è stata definita una guerra tra “popoli” per la reciproca distruzione, secondo il principio della “responsabilità di gruppo”. Tutti gli israeliani sarebbero occupanti abusivi delle terre storicamente palestinesi. Tutti i palestinesi sarebbero a loro volta responsabili per avere ospitato nelle proprie case i terroristi, nascosto i missili puntati su Israele, accettato la costruzione dei tunnel da cui sono partiti gli attacchi delle milizie di Hamas. 

L’identificazione tra la leadership politica e il popolo non si era verificata neppure con il nazismo. A Norimberga furono processati e condannati singoli “mostri”, mentre il popolo tedesco ne è risultato riabilitato e considerato vittima del regime.

Le stesse condanne civili sono risultate marginali e in gran parte non pagate dal governo tedesco. Insomma, la responsabilità collettiva di un “popolo” non esiste in diritto, anche quando i leader, come nel caso dei nazisti e dei terroristi di Hamas sono stati eletti dai cittadini. La responsabilità dei genocidi è sempre della classe dirigente: la scelta di bombardare il Giappone con l’atomica si deve al presidente degli Stati Uniti dell’epoca.

Il fatto è che le cause della guerra arabo-israeliana, non hanno solo radici ideologiche o economiche (proprie della Seconda Guerra mondiale) ma sono soprattutto religiose, così come ha natura religiosa la violazione delle donne nel mondo musulmano e nelle centinaia di enclave che raccolgono i credi e le superstizioni dell’India.

Le ragioni economiche del conflitto mediorientale sono presto dette: da una parte un paese che ha attuato i principi della seconda rivoluzione industriale, dall’altra parte un popolo di lavoratori agricoli e di commercianti. Da una parte un indice di disoccupazione del 3%, dall’altra del 40%. 

Hamas ha preso il sopravvento per via di libere elezioni, esattamente come i nazisti avevano vinto nel 1931 con sei milioni di voti, corrispondenti ai disoccupati di quell’anno. L’attuale governo Netanyau si regge sul voto di ortodossi che predicano la superiorità religiosa e sociale degli ebrei.

Mai nessuno è stato perseguitato per essere un commerciante o un lavoratore dipendente; mentre si è imprigionato, impiccato, bruciato chi aveva l’unico torto, in materie incomprensibili, di non avere la stessa opinione dei sacerdoti che disponevano della forza. L’attentato in Iran dell’altro giorno, è stato attribuito all’Isis per ragioni di lotta atavica tra due fazioni della stessa religione.

Del resto, la discriminazione di sesso è anzitutto un fatto interno alle “chiese”. In quasi tutte le religioni monoteiste, cattolica compresa, salvo casi isolati, le donne non sono ammesse al sacerdozio in forza di teologie che risalgono a civiltà ormai scomparse.

Il mondo laico rappresentato all’Onu dovrebbe chiedere, come prima e immediata decisione, che il 7 ottobre sia considerato il giorno dell’infamia, così come l’8 marzo è la giornata internazionale delle donne. La seconda decisione, per consentire all’ONU di recuperare la credibilità perduta, dovrebbe essere quella di espellere dal consesso internazionale privandoli dal diritto di voto, tutti i paesi che, nei fatti, non rispettano i diritti delle donne.

 

 

 

 

 

 

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