Almeno 33 persone sono morte e 100 sono rimaste ferite nei violenti scontri tra popolazione locale e polizia, nella selva amazzonica nel Perù settentrionale. I locali hanno anche accusato la polizia di avere sparato su di loro da un elicottero. Gli scontri sono stati originati dal tentativo dei nativi di difendere la selva dalla crescente deforestazione.
Gli indios, come rappresaglia per le loro vittime, hanno risposto prendendo in ostaggio un gruppo di 38 poliziotti che custodivano una stazione dell’oleodotto Norperuano, prorietà dell’ente statale Petroperu.
Il governo peruviano ha fornito cifre differenti sugli scontri: secondo il presidente del Consiglio dei ministri, le vittime sarebbero undici poliziotti e tre nativi. Ma i dati sugli indigeni morti dati del governo differiscono ampiamente da quelli forniti dal Collegio Medico Chachapoyas, dagli ospedali, dai mezzi di comunicazione e dalle organizzazioni indigene che parlano di 25 vittime.
La mobilitazione degli indigeni (circa 5.000 di 60 diverse tribù), riunite nella Associazione Interetnica di Sviluppo della Selva Peruviana, ha avuto inizio lo scorso 9 aprile: gli indigeni protestano contro una decina di decreti legislativi che essi considerano un attentato al loro diritto di essere consultati su terre che occupano da tempi ancestrali.
Le comunità dell’Amazzonia peruviana, che vivono in zone molto remote, hanno denunciato in diverse occasioni le conseguenze della deforestazione e dello sfruttamento delle risorse naturali delle loro terre: povertà e abbandono, contaminazione delle acque, conseguenze sulla salute.
Il governo del presidente Alan Garcia, che ha approvato i decreti per mettersi in linea con il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, ha violato -secondo gli indigeni- trattati internazionali che hanno rango costituzionale (la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui popoli Indigeni e Tribali, così come la dichiarazione dell’Onu sui popoli indigeni, entrambi sottoscritti dal Perù).
Le proteste degli indigeni si scontrano con l’interesse del governo di incrementare le riserve di gas e petrolio, materie prime presenti in grandi quantità nella selva, per far fronte a un’eventuale crisi energetica e trasformarsi in un Paese produttore. Il governo accusa gli indigeni di voler mettere “il Perù in ginocchio e bloccare il suo cammino verso lo sviluppo”.
Ma gli indigeni temono che i decreti aprano le porte allo sfruttamento senza controllo da parte dei privati; e da quasi due mesi hanno bloccato strade, vie fluviali e ostacolato le operazioni di trasporto di gas e petrolio, una situazione che ha messo a secco varie città.
Le proteste hanno indotto il Congresso e rivedere il contenuto dei decreti legislativi, ma giovedì il Parlamento ha deciso di rinviare il dibattito sulla legge forestale, che i nativi considerano incostituzionale. E le tensioni sono sfociate nella violenza.
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