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E Berlusconi liscia il pelo all’eterna voglia di casa

di admin |10 Marzo 2009 12:35

Quel che è successo dopo l’annuncio di Berlusconi sull’edilizia era prevedibile. Da un lato i grandi costruttori affilano i denti, dall’altro ambientalisti e sinistra in genere sono già in guerra, certo per principio, ma anche con delle ragioni.

Proviamo a ragionare.

Che l’edilizia serva a mettere in moto l’economia francamente lascia molto perplessi. Ormai in Italia, a fare i muratori sono soprattutto gli stranieri. A Roma anche un muretto lo tira su un’impresa di cui il padrone può essere italiano (anche se sono sempre di più gli ex-extracomunitari che si sono messi in proprio), ma la manodopera è in prevalenza romena, e sono anche molto bravi. Per non parlare della manovalanza nord africana.

Lontani i tempi di Lord Keynes, o di Albert Speer, che per uscire dalla crisi del ’29 teorizzavano, il primo, e mettevano in cantiere, il secondo,  grandi opere pubbliche. Oggi il lavoro che vogliono gli italiani deve essere sicuro, tranquillo e possibilmente in ufficio. Niente di deprecabile, anzi, più che naturale. Ma è inutile illudersi che quel ha in testa Berlusconi faccia bene ai disoccupati italiani.

È però vero che, se c’è crisi da noi, nei paesi del fu patto di Varsavia la crisi è ancora più grave. Se tutti i lavoratori di provenienza est europea, che sono oggi in Italia, restassero disoccupati, difficilmente tornerebbero nel loro paese e aumenterebbe così il rischio che gente robusta e alla fame aumenti le possibilità di reclutamento della malavita. In questo senso, iniziative a favore dell’edilizia, anche se non di grande interesse diretto per gli italiani, avrebbero comunque un risultato, quello di stabilizzare il quadro sociale.

La mossa di Berlusconi è però anche politicamente pericolosa per i suoi avversari. Infatti ha un importante aspetto demagogico che la sinistra farebbe bene a non trascurare, specie dopo la lezione subita in Sardegna, dove certamente ha giocato anche il divieto imposto da Soru di costruire a meno di tre chilometri dalla costa, dimenticando che lui e alcuni suoi amici la casa in riva al mare l’avevano già e la norma poteva apparire solo mirata a evitare che la plebe gli costruisse troppo vicino.

Il messaggio che lancia agli italiani normali è: oggi ci sono leggi che solo i ricchi e i potenti possono aggirare e che vi impediscono di costruire un paio di stanze in più per i vostri figli che si sposano e non possono ancora permettersi una casa tutta loro. Bene ve lo faccio fare io, superando i mille vincoli che favoriscono solo lo strapotere di burocrati e geometri comunali.

L’Italia, poi, non è solo quella delle campagne o dei piccoli centri, ma anche della grandi città dove di sopraelevazioni, e di sopra-sopraelevazioni, se ne sono fatte a dismisura, nel corso dei secoli.

Basta affacciarsi da un terrazzo a Roma o a Milano per averne la conferma. Ma se le sopraelevazioni del passato, per non dire le “fusioni” sono a volte dei gioielli (per tutti sta ad esempio il teatro di Marcello, a Roma), gli interventi, piccoli e grandi, degli ultimi 50 anni hanno indiscutibilmente reso l’Italia più brutta, come in genere è brutta l’Italia costruita nel dopoguerra.

E non si può dire che sia solo colpa dei democristiani, colpevoli, non solo in questo, di mancanza di fede nel futuro. Se si va nelle regioni ex rosse, e si esce dai centri storici, unici al mondo ma non per merito loro, ci sarebbe da mettere tutti gli amministratori pubblici del dopoguerra nello stesso girone, democristiani e comunisti, costringendoli a contemplare per l’eternità le brutture che hanno autorizzato.

La proliferazione delle lauree in architettura e dei titoli di geometra ha fatto perdere quell’unità stilistica che le case di una volta, anche le più povere, avevano in tutta Europa, grazie al fatto che pochi capomastri detenevano i segreti della costruzione. E poi il costo dei trasporti rendeva obbligatorio costringeva all’uso di materiali locali, rendendo quindi più agevole l’inserimento della costruzione nel territorio. Oggi, con la disponibilità di nuovi materiali, come l’acciaio e il vetro, e il desiderio umanamente comprensibile ma esteticamente deprecabile di architetti, costruttori e committenti di fare qualcosa di diverso, di personale, che lasci il segno, genera autentiche brutture.

Viene da disperarsi che il paese dei divieti assoluti, che prevede o prevedeva il carcere per gli abusi edilizi, si trattasse pure di un pollaio, sia poi riuscita a generare un tale caos stilistico.

E ora si profila una battaglia dove, detto per inciso, sono schierate le regioni secondo l’appartenenza politica delle loro giunte, che sarà pregiudiziale e ideologica e non terrà quindi conto dei problemi della gente comune e nemmeno quelli della bellezza paesaggistica che gli oppositori sembrano voler difendere.

Forse non sarebbe male se, con tutti gli architetti di sinistra che ci sono in Italia, l’opposizione, che detiene invece la maggioranza nella maggioranza delle regioni, cominciasse a mettere a fuoco delle idee concrete che non penalizzino la gente comune e limitino invece in modo efficace i rischi di brutture e “ecomostri” . Certo, una cosa è disegnare per i concorsi pubblici, un’altra è pensare a una città e alle sue regole.

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