Un oggetto di uso comune ma con la sua brava marca, il “brand”, in bella vista durante una sequenza di una fiction, magari anche più volte nella stessa puntata. Oppure un prodotto legato a un personaggio di una storia tv, la trama infarcita con grazia con le aspettative dello sponsor.
Sono gli “spot nascosti” ma non troppo. Perchè devono vedersi, eccome. È pubblicità, prima non si poteva fare, ora con la norma che estende la Legge Urbani sul “product placement” del cinema anche alla televisione, si potrà. Verrà votata mercoledì 11 al Senato dal centrodestra: gli inserzionisti pagheranno, ci saranno più soldi per i programmi e un’altra infornata di pubblicità.
In America è ormai una tecnica altamente sperimentata: nel ’92 la presenza delle caramelle “Reese’s Pieces” nel kolossal “E.T.” fruttò un incremento delle vendite del 65% in soli tre mesi.
L’opposizione protesta: il già enorme divario tra quanto incassa la televisione rispetto ai giornali, caso unico in Europa, aumenterà ancora. Inoltre, per scongiurare l’invasione di marche e spot nelle trasmissioni per adoloscenti, propone almeno il divieto del product placement nei programmi per minori.