Processo Astor/ Si trascina da mesi in un vortice di carte. Eredità da 185 milioni di dollari in ballo: imputato Anthony Marshall, accusato di essersi approfittato della madre Brooke Astor

Pubblicato il 6 Agosto 2009 - 09:51 OLTRE 6 MESI FA

L'imputato Anthony Marshall

Quindici settimane di processo, 65 testimoni, migliaia di pagine di verbale. Il processo Astor, al tribunale superiore di Manhattan, ancora non vede la fine. Anthony Marshall, 84 anni, il figlio della ricchissima Brooke Astor morta a 105 anni, e il suo avvocato Francis Morissey rischiano una condanna per truffa se la giuria confermerà l’accusa che Marshall e Morissey hanno approfittato della malattia di Brooke per estorcerle una firma e falsificare così il suo testamento.

Uno scandalo emerso nel 2006, quando il nipote della miliardaria, Philip, citò in giudizio suo padre proprio perché voleva che gli fosse revocata la custodia della donna, ormai agli ultimi stadi del morbo di Alzheimer. Quando la Astor è morta, si è scoperto che nel testamento la sua intera fortuna, circa 185 milioni di dollari, era finita nelle mani di Marshall.

Il processo, che vede l’opinione pubblica americana schierata all’unanimità contro il figlio ereditiere, si è allungato oltre ogni previsione. La pubblica accusa, infatti, hanno convocato decide di testimoni, rendendo il procedimento un labirinto di carte in cui la giuria dovrà districarsi per trovare la verità. Dopo quasi quattro mesi dalla prima udienza, gli esperti di diritto lanciano l’allarme: se si vuole che i giurati condannino Marshall, non li si deve annoiare con un processo fiume.

Lo stesso Henry Kissinger, uno degli amici di famiglia che aveva appoggiato la richiesta di revoca della custodia da parte del nipote della Astor, ammette: «La Procura sta consegnando il processo agli avvocati difensori». L’ultima fortuna per l’imputato è stata l’estromissione dalla giuria lo scorso maggio di Kim Sager, la più convinta sostenitrice della colpevolezza di Marshall. I motivi dell’espulsione non sono noti, ma l’ex giurata ha già trovato il modo per rendere pubbliche le sue idee sul processo: «Se fossi ancora lì, voterei sicuramente per la condanna. – ha detto la Sager – Non c’è alcun dubbio sulla malafede di Anthony e del suo avvocato».

Il processo in America è seguitissimo anche per le sue implicazioni sociali: i giurati sono tutti del ceto medio e si trovano a giudicare un uomo ricchissimo che, forse per avidità, è voluto diventare ancora più ricco.