C’è quello nazionale e in ogni Regione o quasi c’è un fiorire di bonus-psicologo in forme e sostanze variabili. Insomma: pagare con fondi pubblici il ricorso, l’aiuto dello psicologo al cittadino. Quale cittadino? I professionisti del settore segnalano il montante aumento delle diagnosi di disagio psicologico e/o psichico. La compressione delle attività sociali degli anni del Covid, l’isolamento iper attivo e a tratti psicotico da folla da social, la generale perdita di certezza sulla garanzia del futuro migliore…Non c’è dubbio ed è facile constatare come la vita associata e collettiva rilevi tassi crescenti di rancore, ira, acidità, perfino panico nei rapporti appunto sociali. Lo schiacciamento della totalità dell’essere ed esistere su un eterno presente favorisce se non induce squilibri emotivi/cognitivi. Ma, oltre a storiche circostanze oggettive, c’è anche altro alla base della voglia di psicologo per tutti: c’è il miraggio della medicalizzazione della vita.
La pillola per la felicità non esiste ma sono decine di milioni quelli che la cercano in farmacia. Noia, tristezza, melanconia, dispiacere, dolore non sono sintomi di una malattia. Le emozioni, queste emozioni non sono manifestazioni di una patologia, sono fili del tessuto di una vita. Mandare tutti dallo psicologo con un bonus di Stato o di Regione o di Comune è solo un po’ welfare sanitario. E’ soprattutto l’illusione, ingenua e disperata, di “guarire” la vita mettendola al riparo dalla vita. Con contorno, marginale ma questo sì patologico, di chiacchiere e distintivi, di allarmi di stampa cui fanno eco richieste di fondi, di soldi pubblici. Ma no?