Re Artù non è mai esistito. Il mitico monarca di Camelot è solo una leggenda. Non c’è mai stato il Regno di Logres, neppure la democratica tavola rotonda e neanche il fantastico castello con la spada piantata nella roccia.
Nessuno si illuda, scrive Thomas Green, autorevole studioso di Oxford. È solo un’invenzione, consolatoria e vagamente autoingannevole, di quei celti umiliati dai Sassoni e dai Normanni che nel corso dei secoli hanno cercato, attraverso di lui, di elaborare il lutto della sconfitta.
Thomas Green non ha dubbi. E scrive che nemmeno le ultime teorie a favore della sua reale esistenza reggono all’esame della scienza.
Ad essere demolita per prima è la scoperta di una tegola nel castello di Tintagel, in Cornovaglia, dove Artù sarebbe stato dato alla luce da Ingerne, sedotta da Uther Pendragon grazie ad un inganno di Merlino. Quella tegola cita un nome, scrive Green in un articolo, che «non si riferisce per niente ad Artù, al contrario di quanto è stato detto e sostenuto pubblicamente».
Cosa resta, allora, del mito di Camelot? Ben poco, soprattutto se si va a demolire, come fa Green, anche il resto delle prove documentali e letterarie delle sue gesta, dalle dodici battaglie contro i Sassoni a quella, finale e terribile, delle Piane di Salisbury. «La croce di Glastonbury, unica prova archeologica a favore dell’esistenza di Artù, è da tempo stata provata come una frode del XII secolo».
Ma è soprattutto l’analisi dei testi medievali a dimostrare che Artù è «una figura mitica rappresentata come storica».