Redditometro, perché è grave: doverose verifiche ma ci espone al controllo di burocrazie oppressive. Secondo la Costituzione, ogni deputato e senatore della Repubblica, risponde alla Nazione e non è soggetto al vincolo di mandato. In altre parole, il voto in aula deve esprimere il parere individuale e non quello dei gruppi di appartenenza. Questo principio è stato disatteso il giorno stesso in cui è stata approvata la Carta Costituzionale italiana. Infatti, sono stati gli uffici studi dei partiti dell’epoca ad elaborare il testo poi sottoposto al voto, mentre i cosiddetti “padri costituenti” hanno partecipato alla discussione nella misura del 10% scarso. Il restante 90% non era in grado di capire l’argomento trattato. Non è il “popolo” che approva le leggi “delegando” i parlamentari eletti, bensì una ristretta cerchia di “notabili”.
Il “popolo” che va alle urne, decide sulla base degli interessi di gruppi e categorie. L’elettorato “grillino” ha votato nella prospettiva di ottenere il reddito di cittadinanza, piuttosto che in nome del principio ideale di sovvenire le classi disagiate. All’opposto, si sente la voce degli “occupati” che non intendono subire “trattenute” sui salari a vantaggio di classi ritenute improduttive.
Grazie alla Costituzione, le minoranze hanno il diritto di esistere, di organizzarsi e di esprimersi politicamente. Ma se un piccolo gruppo mette in atto continue azioni di disturbo, alla maggioranza non resta che introdurre una soglia di sbarramento e un premio di maggioranza, in tal modo aggirando i principi costituzionali.
Gli italiani stanno vivendo da anni l’esperienza dei “partiti artificiali”, che comprendono la sinistra ex comunista, quella riformista e democristiana, oppure liberali, ex missini, leghisti e formazioni di supporto. Gruppi gelosi della propria identità, pronti a differenziarsi alla prima occasione. I “riformatori” della Seconda repubblica avevano promesso che “il primo giorno dopo il voto sapremo chi ci governerà per cinque anni”. Il sistema dei due blocchi, agglomerati che raggruppano interessi territoriali, clan, apparati, è stato un fallimento. Infatti, il conflitto esterno tra i gruppi elettorali in competizione, si è trasferito all’interno dei partiti artificiali, con lo stesso risultato dell’ingovernabilità. Il presidenzialismo proposto dalla Meloni mirato a darci un governo duraturo, non potrà mai essere approvato dai partiti artificiali, che rischierebbero di estinguersi perché il loro potere di ricatto verrebbe meno.
L’abrogazione della preferenza doveva evitare il voto di scambio: si è così rafforzato il potere delle segreterie di partito, che possono proporre gli attivisti più inetti. Per contrastare l’azione di qualche cricca mafiosa, il legislatore ha aumentato il potere delle camorre partitiche.
In conclusione, possiamo affermare che la nostra democrazia si basa sui “grandi principi” che non trovano effettiva attuazione per l’inadeguatezza della classe politica.
Ma come scegliere i nostri rappresentanti parlamentari, locali e di governo, sulla base di quali caratteristiche, titoli di studio, esperienze professionali? Esiste un metodo pratico per selezionare i migliori e i più meritevoli?
La costituzione prevede l’obbligo di adempiere alla funzione pubblica con dignità e onore, ma non impedisce al “barbone” che vive per strada di diventare rappresentante del popolo.
Tempo fa, una testa d’uovo aveva proposto l’introduzione dei test sull’intelligenza, che non hanno peraltro alcuna base scientifica. Si racconta che Marilyn Monroe avesse proposto a Einstein di fare un figlio: Albert, pensa che bimbo eccezionale sarebbe, avendo il tuo genio e la mia bellezza. Einstein aveva risposto: pensa se il bimbo nascesse con la mia faccia e il tuo cervello. Alla prova del test, era peraltro risultato che il quoziente di intelligenza dell’attrice era superiore a quello dello scienziato.
La mancata previsione di competenze particolari per i candidati politici, ha avuto come effetto il singolare fenomeno del ministro che diventa portavoce dei suoi funzionari. Il paese non è più nelle mani della classe rappresentativa che esce dal voto popolare, ma dipende dalle istituzioni e dalle burocrazie di carriera: le varie magistrature, le forze di polizia, i dipendenti delle amministrazioni centrali e periferiche, i quali sono garantiti quasi sempre dalla “inamovibilità”, dal “diritto” alla carriera e dal principio dell’”autonomia”.
Il bilancio pubblico deve farsi carico delle spese di mantenimento di questi sterminati apparati: le relative voci di “uscita” sono considerate “immodificabili”.
Per esempio, l’Italia è l’unico paese al mondo che dispone di tre corpi armati (polizia, tributaria, carabinieri) in servizio permanente. Nessuna forza elettiva può permettersi una politica di accorpamento per ridurre le spese di bilancio. Qualsiasi colonnello di questi corpi armati può mettere sotto controllo l’intera classe dirigente politica, per poi segnalare ipotesi di reato alla magistratura.
Il problema delle intercettazioni telefoniche è affrontato secondo gli interessi in gioco (pubblici ministeri, politici, media); le vittime degli abusi, numerosi e sistematici, hanno trovato voce solamente dopo che alcuni “potenti” sono incappati in quel meccanismo. Nessuno ha mai pensato ai diritti del “cittadino”.
Il Pm è la figura centrale del sistema giudiziario. Ogni persona che ha subito un torto pretende la condanna del responsabile in tempi rapidi. La gente si lamenta perché i magistrati lasciano in libertà il delinquente che ti entra in casa e ti minaccia con la pistola, non riesce a far sgombrare l’abitazione occupata dai senza tetto, a liberare i quartieri dagli spacciatori e a rendere praticabili le strade cittadine. Il cittadino più disagiato ha scoperto che non può esistere libertà senza sicurezza e che la libertà non consiste soltanto nel diritto di andare a votare. La fame di giustizia riguarda i “disagiati” più ancora dei “colletti bianchi”.
I colletti bianchi sono sempre stati la fissazione degli inquirenti perché la cultura catto-comunista “demonizza” il profitto. Molti Pm sono stati educati al culto della lotta di classe. Negli anni settanta provavo un certo disagio quando, sulle scrivanie di certi Pm, vedevo “esibiti” giornali come l’Unità e Potere Operaio una rivista di Toni Negri e Franco Piperno. La delega della politica alla Magistratura riguarda perfino la decisione finale sul fine vita, perché il parlamento non è mai stato in grado di approvare una legge comprensibile: molti italiani continuano ad andare in Svizzera per trovare una morte dignitosa..
Una interessante nemesi storica si sta verificando nei rapporti degli imprenditori con la politica: per avere una commessa o una concessione, essi pagano la campagna elettorale senza preoccuparsi delle qualità dei candidati, i quali hanno approvano le leggi che consentono ai Pm di chiedere l’arresto “preventivo” degli stessi imprenditori.
I giudici sono persone in carne e ossa che non garantiscono la certezza del diritto perché la giurisprudenza è ondivaga. Non si tratta di un fenomeno solo italiano: negli Usa, la Corte suprema dà ragione a Trump che ha designato la maggioranza di quei giudici i quali hanno di recente stabilito che “il diritto all’aborto non è previsto nella Costituzione” in contrasto con precedenti decisioni della stessa Corte a trazione democratica.
Nessuno capisce che “fare giustizia” non può dipendere solo dai magistrati e che il carico di lavoro che essi devono affrontare a causa di una classe politica incapace di legiferare, rischia di renderli impopolari.
L’unico rimedio possibile è quello di ridurre la fascia dei reati perseguibili d’ufficio e di prevedere multe salate invece che arresti esemplari, molto meno efficaci delle stesse multe. Dove in Francia e Germania si prevede una sanzione pecuniaria, in Italia c’è l’arresto. Per un terminalista che ha ottenuto i moli aggirando le norme, la revoca immediata della concessione fa molto più paura delle indagini della procura, che finiscono spesso in un flop.
La gente non avverte problemi di tenuta democratica del paese, pensa ad una lotta tra “vertici” e si chiama fuori disertando le urne.
Dobbiamo accontentarci di tutelare la parte più sana della Nazione: le piccole e medie imprese che tengono in piedi l’economia. La reintroduzione del redditometro, per il momento rientrata, non è grave sotto il profilo delle doverose verifiche sul tenore di vita rispetto alla dichiarazione dei redditi, ma per il fatto che si espone il cittadino al controllo di burocrazie ritenute “oppressive” e impreparate.
Il peggior governo è sempre stato quello del burocrate: esso complica a furia di teorizzare anche le cose più semplici, pensa in termini di regolamenti e di leggi, desidera costruire una società che abbia una regolarità geometrica e non si rende conto che in questo modo distrugge la libertà esistente e l’attività dei singoli. L’uomo semplice, che conosce per esperienza professionale il piacere e l’efficacia del lavoro concepito e compiuto in libertà, è meno pericoloso quando è al potere, perché non c’è bisogno di dirgli che la legge può distruggerlo invece di aiutarlo.