Oggi in Italia è un’altra giornata elettorale. Siamo chiamati alle urne in 47 milioni, tutti gli aventi diritto, per un referendum in materia di elezioni. I seggi saranno aperti dalle 8 alle 22 di oggi, domenica 21 giugno e dalle 7 alle 15 di domani, lunedì.
Una parte di noi, esattamente 14 milioni, dovrà votare per i presidenti di 22 province e i sindaci di 99 comuni che non hanno ottenuto la maggioranza assoluta nella prima tornata del 6 e 7 giugno. Gli orari dei seggi saranno gli stessi del referendum.
La cosa più complicata da capire è il referendum, che è, e non può che essere, abrogativo: vuol dire che siamo chiamati a dire la nostra su tre punti specifici della legge elettorale, cosa che è molto tecnica, specifica e per la maggior parte di noi complessa a dire poco.
Il referendum verte su 3 distinti quesiti su altrettante norme che disciplinano le elezioni di deputati e senatori. I cambiamenti ci sarebbero solo con la vittoria del sì. Nel caso, infatti, di vittoria del no (o nell’ipotesi di mancato raggiungimento del quorum di validità del 50% + 1 dei votanti), resterebbe tutto com’è.
Con la prima scheda di colore viola, si propone di abrogare, alla Camera, la possibilità di collegamento tra liste e l’attribuzione alla coalizione di liste più votata del premio di maggioranza nazionale. In caso di vittoria del sì, il premio di maggioranza verrebbe attribuito alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che ottiene il maggior numero di voti validi. Il secondo quesito, invece, contenuto in una scheda di colore beige scuro, propone di abrogare, al Senato, la possibilità di collegamento tra liste e l’attribuzione del premio di maggioranza su base regionale alle coalizioni di liste più votate in ciascuna regione. Anche in questo caso, l’eventuale vittoria del sì, comporterebbe l’attribuzione del premio di maggioranza alle liste singole (e non più alle coalizioni di liste) che ottengono il maggior numero di voti validi in ciascuna regione. Con la terza e ultima scheda di colore verde chiaro, si chiede di abrogare la possibilità, per la stessa persona, di candidarsi contemporaneamente in più di una circoscrizione. E in caso di vittoria del sì, verrebbe abrogata la facoltà di candidarsi contemporaneamente in più circoscrizioni alla Camera o in più regioni al Senato.
Proviamo con qualche esempio. Come si è visto, chi voterà si troverà davanti tre schede. Due con un quesito identico, una per la Camera, l’altra per il Senato. Quello che potrebbe cambiare nel sistema elettorale italiano, se vincesse il sì, riguarderebbe il ruolo delle coalizioni politiche. Il premio di maggioranza, che la legge Calderoli del 2005 attribuisce attualmente all’alleanza nel suo complesso, verrebbe attribuito solo alla lista con più voti. Unirsi in grandi “cartelli”, per i partiti, non avrebbe più alcuna importanza. Nelle elezioni dello scorso anno, ad esempio, il Popolo della libertà avrebbe ottenuto da solo il premio, indipendentemente da una sua alleanza con la Lega. E se il Partito democratico e l’Italia dei valori fossero confluiti in una lista unica, sarebbero stati loro a vincere le elezioni, ottenendo il decisivo premio di maggioranza. L’intenzione dei promotori della consultazione, al momento della presentazione dei quesiti, era chiaramente quella di indirizzare il sistema parlamentare verso un bipartitismo all’americana.
Con la terza scheda si chiederà ai cittadini di scegliere, votando sì, di vietare le candidature multiple. Al momento, i leader politici di maggior richiamo si candidano in quasi tutte le 27 circoscrizioni, fungendo da calamita di consensi per la propria lista. Poi, al momento dell’ingresso in Parlamento, scelgono dove risultare vincitori e permettono al primo dei non eletti nelle altre circoscrizioni di essere ripescato. Se prevalesse il sì questo non sarebbe più possibile e tutti i candidati, regione per regione, sarebbero sicuramente eleggibili.
Tutto, ovviamente, sarà subordinato al raggiungimento del quorum, ovvero al fatto che la metà più uno degli aventi diritto si presenti alle urne.