Un bel po’ di elettori, cittadini, gente che si sente (spesso da una vita) di cuore e anima e intelletto di sinistra è da tempo e oggi ancor di più alla ricerca della sinistra perduta. Solo che non è la sinistra che si è perduta o che sia stata tradita, dispersa, annacquata come a sinistra ci si ama raccontare con melanconia. Non è, signora mia, che non c’è più la sinistra di una volta… È che un bel po’ di elettori, cittadini, gente che si sente di sinistra la sinistra se l’è persa abbracciando, sposando, identificandosi e votando molte cose che sinistra chiamano se stesse ma sinistra politica, culturale, storica non sono.
Se Karl Marx potesse leggere l’ultima intervista rilasciata da Elly Schlein al Corriere della Sera, il suo commento sarebbe: bene, ma io che c’entro? E non perché Karl Marx alle primarie per la segreteria del Pd voterebbe Bonaccini, anche del Bonaccini pensiero il vecchio Marx direbbe serenamente: bene, e io che c’entro? Stessa benevola frase che potrebbe pronunciare Gramsci o chiunque abbia avuto in vita la ventura di essere socialista o comunista consapevole di ciò che diceva, pensava, voleva. Il socialismo, non l’ultimismo.
Gli ultimi, non Ultimo
Ultimismo, qui non ci riferisce come fa Goffredo Bettini a Ultimo cantante. Che non c’entra. E che solo in un milieu politico/comunicativo assai naif poteva essere tirato in ballo a sproposito da un peraltro assai naif ideologo della (sedicente, sì, sedicente) sinistra come misura di interlocuzione-distanza col popolo. Qui si dice dell’ultimismo e cioè della missione/identità che la sinistra assegna a se stessa. L’assistenza e la rappresentanza degli ultimi. Gli emarginati, i super precari, gli immigrati di primo sbarco, i senza lavoro. In una sola parola vagamente riassuntiva: i poveri. Nulla di disdicevole, anzi. Ma la sinistra, la sua ragion d’essere storica e ideale era il socialismo. Per raggiungere il quale era necessaria una “classe generale”, generale perché al centro della dialettica capitale-lavoro e lì organizzando e perseguendo il suo interesse di classe smontava e riformulava le strutture portanti dei meccanismi di produzione e quindi dei connotati sociali. Classe, non ceti la cui identità è labile e contingente come appunto gli esclusi, gli emarginati e appunto gli ultimi e i poveri. La sinistra che voleva il socialismo, non avendo in fondo mai metabolizzato la scomparsa della classe operaia come classe generale e il fallimento del cosiddetto socialismo realizzato, da organizzazione politica dell’agente che cambia il mondo degli umani si è trasformata in una Ong universalistica di assistenza-rappresentanza degli ultimi e di quelli che di volta in volta possono riempire questa catalogazione e categoria concettuale.
I poveri, gli ultimi per la sinistra come ideologia, filosofia della storia e organizzazioni politiche non erano e non sono mai stati il motore o la leva della storia. Sarebbero stati, spesso loro malgrado, i beneficiari della realizzazione del socialismo. Ma non certo per loro istanza e rappresentanza. Ma alla sinistra, dopo il 1989 (e u po’ anche prima) venuta a mancare la leva e il motore della storia della classe operaia, restò il trasloco ideale e culturale della rappresentanza degli ultimi. I quali ultimi però, ad eterna friabilità del consenso per la sinistra siffatta, hanno la marcata tendenza a non voler restare tali.
Il genere, le identità
La sinistra che voleva il socialismo che contenesse sia le libertà una volta dette “borghesi” (oggi diremmo liberali) che l’eguaglianza di partenza (e in parte di arrivo) delle condizioni socio economiche cercava per questi obiettivi di formare quel che chiamava il “blocco storico”. Cioè un’alleanza tra la classe generale (quella operaia) e segmenti della borghesia produttiva (o con meno frequenza e fiducia con segmenti della piccola proprietà contadina). Nel blocco storico da edificare non mancava la malta di segmenti della intellettualità. Il tutto smaltato e in qualche modo anche cementato da un’etica esigente che piazzava al primo posto nella scala dei valori quello del benessere e utilità collettiva e verso gli ultimi posti quello della individuale realizzazione.
Il blocco storico, cioè l’esatto e simmetrico opposto della somma delle rappresentanze cui ciò che oggi chiama se stessa sinistra aspira. L’identità di genere, ogni possibile identità di genere e il suo esprimersi e manifestarsi è oggi per ciò che chiama se stessa sinistra quasi, anzi senza quasi, sinonimo di libertà. Anzi, altro che sinonimo: è la massima espressione della libertà. La battuta del passaggio da Rosa Luxemburg a Rosa Chemical (di cui siamo debitori al cronista del Corriere della Sera) è ferocemente precisa. Il fluidismo come contraddizione che scioglierà non il capitalismo ma la società oppressiva. Oppressiva in quanto Stato, Regola, Collettività, Partito, Storia. Che c’entra con questo la sinistra che voleva il socialismo? Nulla.
Avendo perso la battaglia storica per il socialismo, sia pure avendo durante la battaglia vinto molte importantissime campagne, una per tutte: il welfare), ciò che chiama se stessa sinistra salta da decenni di liana in liana e a ciascuna si aggrappa giurando a se stessa che quella è l’albero dal grande tronco che le consentirà di ridiscendere a terra. Il genere femminile come leva della Storia Nuova. Anzi, sì, certo il genere non maschile. Ma non solo quello femminile, i generi e le identità sono tanti e più sono meglio è. La immediata conversione di ogni istanza in diritto e la devozione dovuta ad una piantumazione amorevole di Cobas dei diritti. Questo è oggi la sinistra che crede di tornare sinistra vera e pura e invece con ciò che la sinistra è stata nella Storia e della Storia voleva nulla c’entra.
La Destra è il problema e la Sinistra non è la soluzione
Possono stare relativamente tranquilli (almeno con se stessi) coloro che si sentono sempre più lontani e diversi dalla sinistra che c’è dopo essere stati per decenni cittadini elettori se non militanti politici della sinistra. Non è (o almeno non è solo) l’essere incendiari a 20 anni e pompieri a 60. E’ che questa che oggi si propone come sinistra (lo fa addirittura Giuseppe Conte) sarà meglio o peggio ma nulla ha a che fare con la cultura, l’etica, la filosofia della Storia e l’orizzonte politico della sinistra che voleva il socialismo o anche la socialdemocrazia. Non è questione di moderati ed estremisti, è la diversità tra chi voleva (e vorrebbe ma non sa come fare) mettere mano agli ingranaggi della Storia o almeno della società in cui vive e chi esige che negli ingranaggi vi sia una rotella in rappresentanza di ogni identità (lobby?)e così l’ingranaggio diventa “giusto” per partenogenesi di diritto in diritto. È la sinistra alla Schlein (ma è solo l’ultima incarnazione in ordine di cronaca) che se ne è andata lontano da chi voleva il socialismo o anche la socialdemocrazia.
La sinistra fiera campionaria delle istanze e dei bisogni (più marginali e fluidi sono, sia come condizione sociale che come identità di genere, più sono apprezzati) non è la risposta e quel che resta il problema. Il problema è la Destra. Non la Meloni premier, qualcosa di più grande e profondo. La Destra sempre tentata, anzi affascinata dalla reazione alla rivoluzione che non ha ancora digerito, quella “borghese”, non quella “proletaria”. La Destra insofferente delle regole e limiti delle democrazie liberali, spesso le chiama inefficienze. La Destra che irride quando non disprezza ogni azione e opzione che sappia di collettivo, interesse collettivo. La Destra che alleva e coltiva una cittadinanza fatta di monadi sociali che, se toccate, fanno falange corporativa. La Destra dalla cultura fieramente antiscientifica e allergica alla modernità, allergica da secoli alla modernità. La Destra che non ha il monopolio e neanche il copyright del populismo (autentico acido dissolvente della democrazia liberale). Ciò che si chiama sinistra è assai competitiva in materia e produzione di populismo. La Destra che però ha il culto e la liturgia dell’individuo e della individualità come specie superiore e la fede nelle virtù benefiche dell’anti cultura e anti scienza. La Destra che resta ed è il problema. Ma la sinistra, quella sinistra che ospita e perfino coccola chi esita a difendere le democrazie liberali attaccate in armi, non è la soluzione. E in mezzo non c’è nulla.