Niente Ru486 in farmacia, niente tuoni vaticani contro i peccati privati del Palazzo. Potrebbe essere questo lo scambio. Scambio suggerito, ipotesi di scambio fatta circolare. Contro la Ru486 la Chiesa vuole qualcosa di concreto dal governo, qualcosa che potrebbe avere la forma di un decreto che ne vieta la commercializzazione. Decreto di cui il governo comincia a parlare.
Questo proprio mentre, da settimane, l’esecutivo stava tentando di recuperare in tutti i modi nei Sacri Palazzi il consenso incrinato dagli scandali scoppiati attorno al premier Silvio Berlusconi.
Ecco quindi l’idea del decreto che “integri” la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Chiarissime le parole del vescovo ciellino Luigi Negri, presidente della fondazione per la famiglia «Giovanni Paolo II» che non nasconde il «terreno di confronto» tra la spinosa questione della pillola abortiva e gli attacchi a Berlusconi sulle escort. «Secondo la più autentica tradizione della Chiesa, mille incoerenze etiche non distruggono nè il benessere, nè la libertà del popolo, invece un attacco violento contro la sacralità della vita, questo sì è un evento che devasta la nostra vita sociale».
Insomma, se arriverà il decreto, il Vaticano in qualche modo dimenticherà la vicenda D’Addario-Berlusconi.
E’ ancora fresca di stampa la questione se la Chiesa sulla eticità pubblico-privata del premier abbia parlato in maniera sufficientemente chiara o no. Questione posta su L’Avvenire, quotidiano dei vescovi, cui lo stesso giornale ha dato risposta positiva: sì, è stato detto quanto basta. Ma qual è la misura di quanto basta, come si calcola? Vito Mancuso su Repubblica offre un metro per misurare: l’ampiezza e la forza degli interventi cattolici sulla Ru486. Se questo è il metro, misura Mancuso, la sproporzione è evidente.
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