Salario minimo e gabbie salariali, a cosa servono in un mondo delocalizzato? Il sindacalismo non ha mai avuto una radice “democratica”. Infatti, la tutela sindacale è necessariamente di natura “corporativa” perché deve curare gli interessi della singola categoria rappresentata.
Ne costituisce una riprova il recente sciopero dei dipendenti Bankitalia per ottenere l’aumento di una retribuzione media annua di oltre centomila euro, in un contesto nazionale di 5 milioni di poveri e di 15 milioni di sotto occupati.
Negli Stati Uniti, l’incubo dei lavoratori è sempre stato quello di stanare le “tribù oziose”, cioè quella massa di persone senza professionalità che pretende di vivere a spese dello Stato.
Ogni riforma della Sanità pubblica è stata contrastata dai sindacati operai americani che non accettano ritenute sui salari per sovvenire le categorie deboli.
Salario minimo e “gabbie salariali”
L’America è il paese delle “gabbie salariali”. Esiste un salario minimo federale di 7,25 euro l’ora e differenti salari minimi per ciascun Stato e per singole località.
Gli Stati più ricchi arrivano ad un salario minimo di oltre 17 euro l’ora, mentre la Georgia, il Wyoming e l’Oklahoma hanno salari minimi orari di 2, 5, 15 dollari. L’Alabama, la Louisiana, il Mississippi, la Carolina del Sud e il Tennessee non hanno leggi statali sul salario minimo.
In Europa avviene la stessa cosa: esistono situazioni molto variegate che vanno da elevati salari in Germania (34.914 euro netti) alla Lettonia (15.889 euro netti), con una media europea di 27.530 euro netti. L’Italia si trova a 24.051 euro netti. Il guadagno medio in Europa è influenzato da molti fattori (la pressione fiscale, il costo della vita, la produttività aziendale).
In forza di una elementare legge del “mercato”, le aziende tendono a trasferirsi nei paesi a più basso costo della mano d’opera. Per questa ragione, gli operai delle grandi imprese del Nord Europa hanno interesse a che altri paesi aspiranti a diventare centri industriali alternativi, siano obbligati a pagare salari più elevati. In questo modo, infatti, non vi sarebbe più interesse per le imprese a trasferirsi nei paesi a bassi salari.
Alti salari per tutti danneggerebbero le zone europee più povere a vantaggio di quelle ricche. Ad esempio, se in Italia si fissassero salari minimi pari a quelli tedeschi, la fuga di imprese dal nostro paese raddoppierebbe e si ridurrebbero gli investimenti esteri.
E’ evidente che l’interesse economico reale dei lavoratori del “sud” dovrebbe essere quello di impedire l’adozione di elevati minimi salariali. Proprio per questa ragione, il Consiglio e il Parlamento europeo sono orientati a lasciare libertà di contrattazione ad ogni Stato e quindi a non fissare un salario minimo super statale.
Il costo della vita e le “gabbie salariali ideologiche”
La sola tutela del fattore lavoro è costituita dal corrispettivo necessario a una famiglia media per vivere dignitosamente. Tuttavia questa soglia diventa un riferimento meramente formale se non viene adeguata all’evoluzione del costo reale della vita.
Un po’ come il saggio legale di interesse che resta inalterato per lunghi periodi e che non rappresenta quasi mai il costo effettivo del denaro.
Salari e tassi reali sono determinati dal mercato e variano a un ritmo che nessuna norma di legge può seguire anche perché ogni politica di adeguamento automatico di quelle remunerazioni determina irrefrenabili spinte all’inflazione e quindi un abbassamento del potere d’acquisto.
Il costo della vita costituisce il parametro principale di formazione di equi salari. Un lavoratore sud americano, a casa sua paga un pasto tre dollari, il taxi un dollaro e così via. Se questo lavoratore viene in Italia, può comprarsi una casa nel suo paese dopo qualche anno di sacrifici.
Una certa differenza tra il costo della vita, si verifica anche tra un lavoratore milanese e uno palermitano. Un insegnate del sud Italia che vince un concorso, chiede subito di essere trasferito nel paese d’origine, dove paga affitti e servizi a costi più bassi. Insomma, la più grande conquista sindacale di questo impiegato pubblico sarebbe l’applicazione di “gabbie salariali”, che sono peraltro osteggiate dalle “gabbie ideologiche”.
Per capire cosa sono le “gabbie ideologiche”, farò due esempi pratici. Dopo due settimane ho trovato un idraulico che mi ha sistemato il bagno. Considero un ladro il “tecnico” che non mi ha riparato i rubinetti e si è fatto pagare come da “tariffa”.
Nell’Ospedale di zona opera un chirurgo di fama mondiale, un “salvavita” che il mondo ci invidia: trovo ingiusto che sia retribuito come un suo collega “qualsiasi”. In cosa consiste la differenza tra il lattoniere incapace e il chirurgo inidoneo?
Che il primo non entrerà più in casa mia, il secondo continuerà ad intervenire sui mutuati ai quali verrà destinato. Per impedire che il chirurgo capace vada all’estero, l’Ospedale dovrebbe pagare di meno il chirurgo inidoneo; il che è impossibile per il fatto dell’appiattimento delle retribuzioni.
In realtà, i lavoratori non hanno tutti la stessa capacità, la stessa resistenza e voglia di lavorare. In un sistema di mercato interdipendente, il fattore della produzione più importante è l’efficienza del lavoro.
Quale dovrebbe essere il livello dei salari minimi?
Il salario minimo dovrebbe essere superiore a quello pagato nelle medesime circostanze se tale minimo non fosse stabilito, ma dovrebbe essere inferiore in misura notevole al salario medio.
Se il salario minimo diventa quello medio di gran parte della popolazione, viene a mancare l’incentivo per il miglioramento della situazione economica individuale.
La mobilità della mano d’opera è sempre stata lontana dall’essere perfetta: infatti lo spostarsi da un posto all’altro costa e i lavoratori non possono mai essere a conoscenza completa di quelle che sono le possibilità di lavoro, mentre i datori di lavoro non sempre conoscono la mano d’opera disponibile.
Cambiare frequentemente occupazione esige un riaddestramento che può provocare perdite considerevoli ai lavoratori.
La mobilità è inoltre menomata dal fatto che trovare un’occupazione può richiedere il cambio di residenza e l’abbandono di una posizione sociale già raggiunta nella comunità.
Non esiste una soluzione perfetta che possa conciliare i contrastanti ideali della libertà di scegliere il lavoro con quello della sicurezza del “posto”.
Possono tuttavia esistere promettenti tendenze verso una soluzione del problema.
Anzitutto alcuni lavoratori possono dichiarare apertamente la preferenza per salari più bassi pur di avere la sicurezza di impiego.
In secondo luogo le condizioni dell’industria moderna hanno indotto a constatare che una forte percentuale di mano d’opera “provvisoria” è costosa e poco pratica e che perciò è necessario compiere ogni sforzo per mantenere una mano d’opera stabile.
Per queste ragioni una soluzione “privata” di tali contrasti è preferibile ad una legge sui diritti dei lavoratori imposta dal governo.
Salario ed espansione economica
In un sistema di mercato, l’aumento del potere d’acquisto dei salari può derivare solo dall’espansione economica. Non si vuole con questo disconoscere i problemi legati alla giustizia e all’equa distribuzione del reddito, che devono avere la loro parte nello sforzo di creare un sistema generalmente accettato.
Tuttavia, anche la più equilibrata ripartizione delle risorse ci lascerà poveri se l’impegno produttivo sarà insufficiente. Si tratta cioè di creare un ambiente che procuri incentivi per la creazione di nuove aziende e lo sviluppo di quelle vecchie, poiché il tenore di vita dei lavoratori dipende dal volume della produzione da esse realizzato.
L’intera legge del progresso economico si fonda su questo principio. La questione relativa all’equa divisione del reddito nazionale, è generalmente mal posta.
Il vero problema non è l’evasione fiscale delle imprese marginali (che devono scegliere tra il sommerso e l’espatrio), bensì i fenomeni di parassitismo fuori controllo.
Il lavoratore è espropriato dal frutto della sua fatica, dai gruppi improduttivi all’interno della finanza, delle istituzioni e delle burocrazie. Le grandi imprese allungano i tempi di decisione e rallentano l’attività produttiva perché sono costrette a moltiplicare le funzioni amministrative. Strutture di controllo sorte con fini limitati sono diventate giganti costosi che la collettività non riesce più a mantenere.
L’onere posto a carico dell’apparato produttivo, per il mantenimento della categoria dei “controllori”, non dovrebbe mai superare il cinque per cento dei ricavi. Una cosa sembra chiara: le azioni degli imprenditori, più di ogni altro gruppo della comunità, comportano una fede generale nel futuro.
Una nazione di gente senza entusiasmo è quasi certa di soffrire di disoccupazione cronica. Nessuna politica fiscale e contributiva, nessuna finanza creativa, potranno proteggere una nazione di questo tipo dalla crescita piatta o dal ristagno. Per superare l’attuale fase di collasso sociale ed economico è necessario incidere sui moventi degli imprenditori attuali e potenziali. Istinto, vitalità, più una visione ottimistica del domani, costituiscono la base fondamentale dell’espansione economica e di più elevati salari.