Salta l'accordo sulla diga di Mekong

BANGKOK 19 APR Gli interessi e – BANGKOK, 19 APR – Gli interessi energetici, economici e ambientali, nonché delle 60 milioni di persone che vivono nel bacino del fiume, sono in contrasto: sulla costruzione di un'enorme diga sul Mekong "ci sono ancora differenze". Lo hanno ammesso oggi a Vientiane i rappresentanti dei quattro Paesi del Sud-est asiatico, rinviando a una riunione ministeriale ancora da fissare un accordo sull'impianto idroelettrico di Xayaburi, in Laos, dove le autorità potrebbero comunque procedere con i lavori anche senza il consenso di Thailandia, Cambogia e Vietnam. La diga, da costruire in otto anni dietro un investimento di 2,6 miliardi di euro, è criticata dagli ambientalisti perché rischia di portare a danni irreversibili come l'estinzione di decine di specie ittiche, nonché la perdita di fertilità del suolo in una zona dipendente dalla coltivazione del riso. Mentre in Thailandia – che acquisterebbe la gran parte dei 1.260 megawatt prodotti dalla diga, ai cui lavori partecipa una delle principali società nazionali di costruzioni – la popolazione delle zone interessate protesta a Bangkok, il Vietnam ha chiesto al Laos una moratoria di dieci anni, sostenendo la necessità di maggiori studi. L'impianto di Xayaburi è il primo degli 11 che il Laos intende costruire lungo il Mekong, che sfocia in Vietnam dopo aver attraversato gli altri tre Paesi, e più a valle la Cina – dove è già frenato da quattro dighe – e un piccolo tratto di Birmania. Il piccolo Stato comunista da 6 milioni di abitanti, senza accesso al mare e con un reddito pro capite di tre dollari al giorno, punta sull'idroelettrico per diventare la "batteria" energetica di una regione dove il fabbisogno di energia elettrica crescerà del 6-7 per cento all'anno da qui al 2025. Accordatisi nel 1995 per consultarsi su qualsiasi sfruttamento del Mekong, i Paesi del Sud-est asiatico hanno istituito una Commissione comune che si è unita alle preoccupazioni degli ambientalisti, puntando l'anno scorso il dito contro le dighe cinesi durante una prolungata siccità che aveva fatto temere per il futuro del fiume. Nessuno dei quattro Stati ha però potere di veto sulle decisioni: il Laos – appoggiato da una Cina che ha messo le mani sulle sue risorse – potrebbe quindi scegliere di andare avanti comunque, a rischio di provocare uno strappo con gli altri tre Paesi, compreso quel Vietnam che è il suo principale investitore. "Apprezziamo tutti i commenti, ma considereremo se accogliere i diversi timori", ha detto il capo della delegazione laotiana, Viraphonh Viravong, dopo il nulla di fatto di oggi. E intanto, stando a un'inchiesta del quotidiano Bangkok Post, le autorità di Vientiane hanno già avviato lo scorso novembre la costruzione di una strada di 30 chilometri che porta al sito dove dovrebbe sorgere la diga.

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