Tutto cambiò nel gennaio 1998. Quando Matt Drudge pubblicò sul suo “Drudge Report” la notizia secondo cui il settimanale Newsweek aveva le prove della liason tra il presidente Clinton e la stagista Monica Lewinski.
Qualcuno all’interno del giornale spifferò tutto e Drudge incassò uno scoop sensazionale. Un evento senza precedenti perchè mai prima di allora una storia così importante era stata lanciata da canali non-ufficiali, meno che mai da un sito web.
Oggi, a 11 anni di distanza, ognuno può essere megafono di notizie. Con un’audience sconfinata e più grande di quella mai concessa ai reporter tradizionali di una generazione fa. E grazie al social network Twitter (in italiano “cinguettio”) è possibile comunicare istantaneamente, con un gran numero di persone.
O meglio è possibile veicolare qualunque informazione in tempo reale. Unico limite: i 140 caratteri che si hanno a disposizione. Non uno in più. Ma bastano e avanzano per raccontare cosa accade in un congresso di partito, per riportare dichiarazioni e dare in presa diretta le ultime news dallo stadio.
Insomma chiunque può diventare fonte di notizia. Ecco perchè i giornalisti trovano Twitter così interessante. Ma questo obbliga i giornalisti a “coltivare” queste fonti, a interagire con esse. Anche a dare qualche piccola “anteprima”, magari spifferando ai propri contatti quelli che saranno gli articoli più succosi del giorno dopo.
E proprioa a causa della continua “fuga di notizie” a causa di Twitter, negli ultimi mesi alcune delle testate più prestigiose degli Stati uniti – compreso il Washington Post, il New York Times, il Los Angeles Times e il Wall Street Journal – hanno chiesto il rispetto di un codice di comportamento ai propri giornalisti. Che nessuno vada a “cinguettare” in giro informazioni preziose per il giornale.
Le linee guida del Washington Post sono categoriche. «Ci aspettiamo che il lavoro dei nostri reporter venga pubblicato dal giornale, su carta o sul sito, e non via blog e su Twitter».
La decisione di imbrigliare Twitter potrebbe essere un brutto colpo al lavoro dei giornalisti che, soprattutto negli Usa, utilizzano il social-network esattamente quanto il telefono.
D’altro canto lasciare che i giornalisti facciano informazione grazie alla rete di cinguettii nasconde un altro rischio. E non riguarda la perdita di informazioni.
Il pericolo è che, a causa di Twitter, i reporter non scendano più in strada a cercare le notizie ma rimangano a fissare lo schermo in attesa di aggiornamenti dai propri contatti. Spesso senza adeguata verifica sulla attendibilità di ciò che viene trasmesso, e pensando che il mondo con cui interagire, e per cui lavorare, sia soltanto quello che “cinguetta”.
* Scuola superiore Giornalismo Luiss