Non sono pochi, proprio no. In busta paga a fine mese i lavoratori dipendenti avranno negli stipendi da 50 a 100 euro in più (per l’esattezza da 49 a 98). E’ l’effetto concreto del cosiddetto “taglio del cuneo fiscale” appena deciso e varato dal governo Meloni. Non sono pochi cento euro di aumento al mese e neanche cinquanta. Sono almeno la metà del danno da inflazione che stanno subendo i redditi medio bassi da lavoro dipendente. Quindi non un brodino. Al contrario un ricostituente dei salari e stipendi. Peccato però che l’aumento dura solo fino a Natale. Al punto che qualcuno ha correttamente osservato che, allo stato, l’aumento è sostanzialmente un bonus.
E comunque sono e saranno soldi in meno per l’Inps
Solo fino a Natale, solo fino alla mensilità di dicembre 2023 perché i 3/4 miliardi che il governo ci ha messo finiscono lì, a fine anno. Poi, per continuare, nel 2024 di miliardi ce ne vorrebbero altri, quasi fino a dieci. Non verranno da miliardi di minor spesa sul reddito di cittadinanza, qui il risparmio da taglio dell’assistenza per chi può lavorare arriverà nella migliore delle ipotesi a un paio appunto di miliardi. Non ci sarebbero in bilancio i soldi per continuare con l’aumento in busta paga anche nel 2024. Ma non si vede come il governo possa a gennaio 2024 togliere quel che oggi dà. Politicamente impraticabile. Quindi? Quindi in qualche forma questo aumento resterà. Resta da vedere a quali costi reali e a carico di chi e di cosa. Perché “taglio del cuneo fiscale” vuol dire…
Contributi non versati per le pensioni
Vuol dire contributi, una parte dei contributi per le future pensioni non versati. Vuol, dire meno soldi per le pensioni, vuol dire meno soldi per l’Inps. Vuol dire piccoli e progressivi buchi nella contribuzione dei lavoratori oggi che saranno pensionati domani. Quindi dovrebbe neanche tanto alla lunga significare pensioni più basse. Oppure Stato, cassa pubblica che ripiana i buchi dei contributi non versati. E come li ripianerà? Non potrà che essere per via fiscale.