Suca scandalizza ancora, Palermo replica a Repubblica: è la nostra ribellione. Come può uno scoglio arginare il mare? Si chiedeva il duo Battisti-Mogol. A Palermo c’è uno scoglio linguistico che riesce a difenderci dal globale, dal mondo che ci invade perennemente da millenni. Questo argine allo strapotere, al sistema delle regole, del politicamente corretto altrui è il Suca. Parola scorretta e volgare nel senso del Comune sentire del volgo.
Parola interiormente palermitana, che alberga in ogni abitante di questa città fenicia ed araba, che vuole stare tranquilla nella sua Conca dorata, oggi molto meno e soffre dei flussi del mondo. Sono due sillabe liberatorie, allusive ma intimamente sociali, antropologiche, perfino politiche. È un No-logo, alla globalizzazione, alla cancel culture, al politicamente corretto, agli usi e costumi altrui, francesi come all’epoca dei Vespri siciliani, o piemontesi come il rifiuto, il suca, finemente detto da Don Fabrizio Principe di Salina a Chevalier, che lo voleva volgare senatore sabaudo, un offesa per un principe siciliano che se la sentiva, appunto, sucare.
Non è suzione imposta dal maschilismo, è rifiuto dell’altrui volontà, regolamentare o impositiva. È ribellione indomita personale, individualista, tipicamente palermitana. Tu pensi di importi, ma non sei nessuno per me, perché io sugnu palermitano e me la sento sucata. C’è tutto l’orgoglio di un popolo oppresso ed invaso, seppur ammansito dagli avanzi della tavola di corte. Chi può comprendere tale volgare, cruda, carnale espressione?
Certo non un giornale repubblicano, oggi sabaudo, con sede fiscale in Olanda e borsa a New York, con un padrone sulla collina di Vilar Perosa. C’è del razzismo piemontese nel titolo di un giornale che attacca il linguaggio di un siciliano fuori dal tempo e dal contesto, nell’oblio del Gattopardo, come Gianfranco Miccichè, spiandone le private conversazioni fornite da una procura che sembra più tenera con altri scandali odierni del potere, pieni di familismo e di parentele note e magistrali. Il Suca a Palermo è filosofia di respingimento di un mondo che non ci piace, che subiamo come canne al vento, ma poi la canna si raddrizza ed esce la parola di vita, palermitana.