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Tensioni Iran-USA, una vecchia storia che si trascina dal 1979, il conflitto in Medioriente rischia di allargarsi?

Tensioni Iran-USA, una vecchia storia mai sopita. Sono più di 40 anni che c’è ruggine (eufemismo) tra i due Paesi.  Almeno dal 1979, anni in cui l’ayatollah Khomeini proclamò la Repubblica islamica subito dopo il suo ritorno dall’esilio di Parigi. E cominciarono i guai. Nove mesi dopo l’inizio del suo mandato di “Guida suprema dell’Iran” e l’avvio di una linea di potere teocratica, si è registrata la prima, grave crisi diplomatica-politica nata un seguito alla occupazione della ambasciata americana di Teheran (4 novembre 1979). Episodio culminato con 53 diplomatici statunitensi tenuti in ostaggio e liberati il 2 gennaio 1981.  Poi è stata una altalena di accadimenti più o meno chiari.  Due in particolare.

AEREO DI LINEA IRANIANO ABBATTUTO E IL CASO SOLEIMANI
Due fatti “inguaribili“ per Teheran: il primo è del 1988, il secondo del 2020. Due ferite che ancora sanguinano. La prima è del 3 luglio di 36 anni fa: il volo Iran Air Teheran-Dubai è stato abbattuto sul Golfo Persico da un missile terra-aria lanciato da un incrociatore americano ; tutte le 290 persone a bordo morirono.

Gli Stati Uniti non hanno mai  ammesso l’errore; era in corso la guerra Iran-Iraq (1980-1988), la cosiddetta “Guerra del Golfo”. Amen. La seconda ferita riguarda l’uccisione del leggendario generale iraniano Qasem Soleimani, 62 anni, storico capo delle “Guardie della Rivoluzione “ e responsabile delle operazioni militari extraterritoriali e clandestine; la persona più potente dell’Iran dopo il leader supremo Ali Khamenei.

Il generale è stato ucciso all’aeroporto di Bagdad per mezzo di un drone USA. Il “martire vivente”, il “cavaliere oscuro” è stato immediatamente vendicato con 22 missili balistici su due basi americane in Iraq; si è parlato di 80 morti (mai accertati).

GLI USA PAGANO 15 ANNI DI ERRORI
Lo dice e lo scrive l’economista e politologo Edward Luttwak, 81 anni, romeno naturalizzato statunitense, esperto di politica internazionale, consulente strategico del governo Biden. Sostiene che da Obama in poi gli USA hanno collezionato errori – strategia farlocca, negoziatori sbagliati, inadeguatezza persistente  – fattori che “hanno consentito agli ayatollah di scatenare le milizie sciite nella regione”. E che hanno portato alla situazione attuale. Delicatissima.

A CACCIA DI MILIZIANI SCIITI
Gli USA vivono una fase di massima tensione e imprevedibilità. È la fase della vendetta. Il tempo della rappresaglia contro le milizie appoggiate dall’Iran che domenica 28 gennaio hanno colpito con droni un avamposto militare americano in Giordania, uccidendo tre militari USA e ferendone più di altri 40.

Appena le salme dei soldati a stelle e strisce sono rientrate alla base aerea di Dover nel Delaware, è partito l’attacco: una pioggia di missili (lanciati da caccia e bombardieri) su Siria e Iraq; un attacco lungo e violento, colpiti 85 obiettivi in sette differenti siti. Cina e Russia hanno accusato gli USA al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) dopo i numerosi attacchi americani agli Houthi ma gli americani non demordono, e con gli inglesi sono tornati a farsi sentire in Yemen. Giunti a questo punto viene spontaneo chiedersi: c’è il rischio di guerra totale in Medioriente? Al momento gli analisti  escludono un allargamento del conflitto perché “non sembra essere negli interessi o nelle ambizioni di Washington e Teheran”. Una lettera da prendere con le molle. O no?

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