Non vogliono pagare l’Irpef, e si capisce. Eccome se si capisce: l’Irpef la pagano la metà dei contribuenti italiani e loro vogliono stare nell’altra, affollata, metà. La loro Irpef la paghino lavoratori dipendenti e pensionati, quelli con trattenuta fiscale alla fonte. Lavoratori dipendenti e pensionati pagano quasi l’ottanta per cento dell’Irpef nazionale, paghino quindi, come di consuetudine, anche la quota degli imprenditori agricoli. Non vogliono pagare l’Irpef gli agricoltori, e ci sta. Così fan tutti quelli senza ritenuta alla fonte. Quindi guidano colonne di trattori contro l’Irpef sui terreni agricoli.
Non vogliono che qualcuno dica loro di rinunciare ai fitofarmaci nelle coltivazioni. Ma non vogliono agricoltura geneticamente modificata, neanche dipinta. E non vogliono mettere a riposo neanche il quattro per cento dei campi. Letteralmente neanche se li paghi. Insomma se c’è un costo, un prezzo anche in agricoltura per contrastare cambiamento e disastro climatico, se c’è qualcosa da pagare per la transizione energetica, non vogliono, fortemente non vogliono pagarlo loro, neanche in quota parte. Che lo paghino gli “altri”. E ci sta: così fan tutti. Organizzati in lobby, sindacati, mestieri, categorie e “territori”, non c’è gruppo sociale che non faccia così: ben venga la “sostenibilità” alla sola stringente condizione che sia gratis. Gratis almeno per la lobby, sindacato, mestiere, categoria e territorio di riferimento. Se c’è da pagare, paghino gli “altri”.
Non vogliono vendere i loro prodotti a prezzi imposti dalla grande distribuzione che li acquista. E quindi vogliono che la “differenza” ce la metta in un modo o nell’altro lo Stato, la finanza, la cassa pubblica. Che però, ovviamente, deve essere rifornita in denaro dagli “altri”. Ci sta, la richiesta di una “fiscalità di favore” è generale nel paese e nella società. L’ideologia, anzi la cultura del sussidio dovuto dallo Stato e della tassa estorta dallo Stato è comune, accettata, praticata, coltivata, coccolata, assistita, premiata.
Non vogliono, fortissimamente non vogliono le regole, ovviamente assurde e sadiche, della Ue in materia di agricoltura. Ci sta, così recitan tutti. Da un mucchietto di decenni la Ue tiene in vita vasti comparti del settore agricolo europeo: il 30 per cento del bilancio comunitario va all’agricoltura che rappresenta il 3 per cento della popolazione lavorativa.
Vogliono sia chiaro, lo dicono ad ogni “microfonata” gentilmente offerta da inviati sul campo, che “lo fanno per noi”. Per noi, mica per loro. Lo fanno per la nostra salute, per darci da mangiare roba buona e genuina, per fermare la mano predatoria e nociva delle “multinazionali”, lo fanno “per i nostri figli e nipoti”. Mica per loro, contadini e agricoltori sono sui trattori in missione per conto della nostra salute e felicità, mica per il loro interesse e portafoglio. Ci sta, così dicon tutti. Ed è un dire antichissimo, già i romani l’avevano decrittato: alibi non richiesto, flagranza di colpevolezza.
Ora sono indecisi se, a cavallo dei trattori, andare a Roma. O a Sanremo. In entrambe le destinazioni il populismo arrogante non farà fatica a “intrattorirsi”. Sanremo però “tira” di più, di più attira il trattore. L’ha annusato uno dei capi scout delle “trattorate” ai caselli delle autostrade, un curriculum di tutto rispetto da “Forcone”. E, indirettamente, la via l’hanno indicata Antonio Di Pietro e Al Bano, entrambi dichiaratisi agricoltori solidali con la protesta. Amadeus potrà resistere? Un trattore sul palco forse proprio no, ma davanti all’Ariston? Ci sta. Nella tragicommedia del trattore dove Forcone fa la vittima e la vittima vera è Pantalone, cioè la robusta minoranza di italiani che paga le tasse. Coro e orchestra di Tg, quotidiani e talk-show.