Donald Trump, ex presidente Usa e soprattutto l’uomo che sussurra e grida agli americani di non accettare il risultato elettorale, di ribellarsi quando vincono gli “altri”. Ribellarsi perché gli “altri” non possono vincere elezioni, se questo accade allora è truffa, imbroglio. Le elezioni sono valide, genuine e veritiere solo quando le vince il “vero” popolo, quello di Trump. Trump che da anni e con determinazione e coerenza lavora di leva e di lena a svitare ogni bullone di quel che chiamiamo in Occidente democrazia, Trump che svelle una delle sue radici più profonde: l’accettazione del meccanismo e risultato elettorale. E’ questo Trump un cittadino come ogni altro uguale di fronte alla legge? Che succede ad una democrazia se la legge uguale per tutti incrimina un Donald Trump? Succede che si apre, si squaderna, si svolge un dramma, il dramma della democrazia.
Il bivio tra impunità e incriminazione
Può, poteva una democrazia scegliere per evidenti e massicce “ragion di Stato” di conferire e riconoscere a Donald Trump una impunità di…opportunità? Opportunità per il sistema democratico, le sue istituzioni, la stabilità stessa della democrazia americana. Regalare o comunque tollerare, ratificare che Donald Trump è…to big to touch , troppo “grosso” per essere sottoposto alla legge avrebbe evitato alla democrazia americana le convulsioni, potenzialmente gravi, che invece verranno dall’averlo incriminato. Alla democrazia americana, o almeno alla sua stabilità qui e adesso, conveniva l’impunità di fatto a Donald Trump: un Trump impunito inaridiva le basi ideologiche e propagandistiche della rivolta contro Washington, il Congresso, i Tribunali.
Ma un Trump impunito e impunibile, quello che sarebbe stato decretato di fatto dalla scelta di non incriminarlo, significava per la democrazia, qualunque democrazia, accettare, riconoscere, subire lo smontaggio di un perno fondamentale della sua struttura: il principio, appunto democratico, della legge uguale per tutti, del tutti uguale davanti alla legge. Quanto si smonta si una democrazia se questa riconosce, ammette, subisce il principio del troppo grosso, forte e cattivo per essere sottoposto alla legge? Molto, molto si smonta in questo caso. Il to big to touch è un tipo di saggezza, di ragion di Stato, di machiavellica ragione che viaggia sul piano maledettamente inclinato del patto col diavolo. Dove il diavolo non è Trump ma la mutilazione che la democrazia infligge alla validità universale della legge.
To big to touch oppure dargli il piccone
Per Donald Trump 34 i capi di imputazione, i motivi per incriminarlo. Si spazia da azioni che non poca opinione pubblica potrebbe considerare “bagattellari” come pagarsi il silenzio di una testimone e a suo tempo partner imbarazzante di Trump con i soldi della campagna elettorale, si va in una nutrita e massiccia selva di reati finanziari di cui l’evasione fiscale per così dire strutturale è il più veniale, fino all’ipotesi, non campata in aria ma radicata in fatti e documenti, di attività eversiva. Secondo ogni razionalità e coerenza di legge quanto basta e avanza, avanza di grosso, per incriminare Donald Trump come sarebbe incriminato qualunque cittadino qualunque (e anche un po’ più che qualunque). Ma Donald Trump non è un cittadino qualunque, è uno che incriminandolo gli gli dai il piccone con la punta più acuminata e dura per picconare la democrazia. L’incriminazione dà a Trump vantaggio elettorale, gli conferisce lo status di vittima, di perseguitato e martire presso il suo popolo, la sua gente. L’incriminazione a termini di legge ha l’effetto di “legittimare” la rivolta contro la legge.
Perché una quota non piccola dei cittadini della democrazia americana non riconoscono e accettano, anzi ripudiano il sistema, le istituzioni e l’architettura stessa della democrazia e considerano la legge e la sua amministrazione “illegittimi” a fronte della vera e unica volontà popolare, cioè quella della loro parte. Accade clamorosamente negli Usa, dove c’è una “aggravante” Trump. Accade con monotona quotidianità in Francia, Italia, Polonia, Germania, Spagna…Ovunque le democrazie hanno un “popolo” che non le riconosce e ne mormora o grida la natura “truffaldina”. Accade però solo nelle democrazie, altrove, dove democrazia non c’è, non c’è il problema e neanche il popol gente anti sistema. Altrove dalle democrazie la questione non si pone: si sta zitti o si va in galera.
Dramma senza happy end
Il dramma per la democrazia americana è nel bivio che qualunque strada imbocchi non si va verso happy end. Non incriminare Trump significava smontare edificio della democrazia riconoscendo impunità a chi picchia forte e duro. Incriminarlo comporta dare all’eversione, alla rivolta anti democratica piccone non solo retorico, significa dare arma, anche qui non solo metaforica, a chi per la democrazia ha in canna una pallottola risolutiva. In parte, solo in parte è il noto dramma della democrazia: quello che obbliga la democrazia a dare libertà di pensiero a azione anche a chi della democrazia è nemico.
Alcuni trovano nella Storia in questa caratteristica della democrazia la sua forza erculea o il suo tallone d’Achille. Ma qui, Usa 2023/2024, si va nella fase parossistica del dramma: non si tratta più della libertà in democrazia dei nemici della democrazia, si tratta, in democrazia, di trattare o meno trattamento di favore con i killer della democrazia. O di eccitarli alla rivolta applicando niente altro che la legge. No, non c’è happy end, stavolta la frase must di ogni sceneggiatura made in Usa, quello “andrà tutto bene” è una scommessa-scongiuro a bassissimo tasso di probabilità.