TURISTI RAPITI, INTERVIENE GHEDDAFI, SI PARLA DI 6 MLN DI DOLLARI DI RISCATTO

Turisti_beduino Ore decisive per le sorti degli ostaggi italiani, tedeschi e romeni, prigionieri da una settimana in quella «terra di nessuno» che è il Jebel Owenat. Il gruppo di sequestrati e sequestratori è in fuga. Adesso è in Libia, a dieci chilometri dal confine col Sudan. L’oasi più vicina è Kufra, a duecento chilometri. La notizia, trapelata da Khartoum, è confermata a New York dal ministro degli Esteri, Frattini. Intanto la Libia blocca l’accesso di stranieri e turisti nel deserto. E il governo sudanese chiama in causa i ribelli del Darfur: «Sono loro i sequestratori». Da Londra il portavoce dei ribelli smentisce, confermando la presa di distanza espressa nei giorni scorsi: «Il sequestro è un atto criminale». Ore decisive e complicate.

A voler essere ottimisti, potremmo essere alla vigilia dell’epilogo positivo del sequestro. Se è vero che l’«oggetto» della trattativa non è solo il pagamento del riscatto ma anche altro, quest’altro potrebbe essere la garanzia dell’impunità dei sequestratori. I segnali raccolti a Khartoum e al Cairo non vanno nella direzione di un consensuale «salvacondotto» per i carcerieri. A questo punto potrebbe essere la Libia, su richiesta dei Paesi coinvolti nel sequestro (Italia, Germania e Romania), a farsi garante della liberazione degli ostaggi e della via di fuga per i sequestratori. Anche se fonti istituzionali italiane rassicurano: «Si tratta di uno sconfinamento e basta. Le trattative vanno avanti e speriamo che entro domenica sia tutto finito». Una speranza. Anche perché si devono fare i conti con gli interlocutori. Sono davvero solo predoni che devono gestire 19 prigionieri?

Fino a ieri nessun governo (egiziano, sudanese, ciadiano) riconosceva come propria la nazionalità della banda. Mercoledì fonti diplomatiche a Roma avevano avanzato il timore che vi fosse stato un «passaggio» dei sequestrati da una banda a un’altra. Il presidente della Camera, Fini, aveva espresso dubbi («è labile il confine tra predoni e guerriglieri…»). Spiega un diplomatico: «Non necessariamente, se effettivamente i sequestratori sono ribelli, si tratta di un rapimento politico. Potremmo trovarci di fronte a un’occasione di autofinanziamento per questo gruppo». In ogni caso, che siano predoni o ribelli, non sono molti quelli che credono che si tratti solo di un gruppo di «quattro» carcerieri. Scheggia impazzita Hani Raslem, analista egiziano esperto del Sudan, spiega: «Nessuno Stato che confina con quell’area ha il controllo del territorio. In quell’area del Sudan sono presenti almeno trenta gruppi armati. L’Egitto paga il prezzo di aver ignorato la crisi del Darfur».

E se effettivamente la banda di «predoni» – da quel che si racconta al Cairo, i predoni saccheggiano persino i contrabbandieri di merci e si fanno pagare quando bloccano i mezzi carichi di clandestini – fosse in realtà una scheggia di questi gruppi di ribelli? E allora si sta trattando soltanto sui soldi (si parla di sei milioni di euro) e sull’impunità, o i sequestratori hanno chiesto anche armi? Colpisce che proprio Khartoum, che aveva rivelato di aver localizzato il gruppo, adesso dica che si trova in Libia. Loro e le truppe speciali egiziani li hanno lasciati andare senza intervenire? Oppure i sequestratori sono riusciti a far perdere le tracce? Tra le guide turistiche della zona si fa l’ipotesi che il trasferimento sia avvenuto di notte: «Loro conoscono bene il territorio e possono anche viaggiare con le jeep a fari spenti».

Il primo maxi sequestro di occidentali in Egitto sta diventando un dossier della diplomazia. Il silenzio stampa amplifica le indiscrezioni che trapelano dagli apparati di sicurezza egiziani. Secondo tali indiscrezioni, i contatti tenuti via cellulare satellitare tra Ibrahim AbdelRahim, titolare dell’agenzia di viaggi, in mano ai sequestratori, e la moglie tedesca Kirsten Butterweck si sarebbero interrotti. Secondo le ultime comunicazioni, i carcerieri avrebbero chiesto che a trattare fosse solo il governo tedesco. Al Cairo sono arrivati gli 007 tedeschi, italiani e romeni. E sono tutti presenti allo stesso tavolo, riuniti in seduta permanente. Da Roma si continua a sperare: «Le trattative vanno avanti».

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