La nuova Via della Seta: cosa farà il Governo Meloni nel 2024 quando dovrà decidere se rinnovare la partnership con la Cina?
Scelta particolarmente insidiosa, sotto molti punti di vista, forse anche più complicata della realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Nel 2019, l’allora primo Governo Conte, portando a termine un percorso iniziato dal precedente Governo Gentiloni nel 2017, firmò il “Memorandum of Understanding” (MoU), ovvero l’ingresso dell’Italia tra i vari partner della Cina nel progetto noto come nuova Via della Seta, “Belt and Road Initiative” (BRI).
Cosa prevede questo Memorandum? E soprattutto: cos’è il progetto della nuova Via della Seta?
Il Memorandum sulla Via della Seta
Nel primo paragrafo del documento ufficiale, si legge che “le controparti si impegnano a lavorare insieme nel progetto della Via della Seta per trasformare in vantaggi le reciproche forze complementari, nell’ottica di una cooperazione pratica e crescita sostenibile, appoggiando le sinergie tra la Via della Seta e le priorità identificate nel Piano di investimento per l’Europa e le reti trans-europee, e altresì tenendo presenti le discussioni riguardanti la Piattaforma per la connettività Unione Europea-Cina”.
Sempre nel primo paragrafo del Memorandum, si aggiunge che “questo consentirà inoltre alle controparti di rafforzare i loro rapporti politici, i loro legami commerciali e gli scambi tra i popoli. Le controparti si impegnano a rafforzare la collaborazione e a promuovere la connettività regionale in un quadro di riferimento aperto, inclusivo ed equilibrato, i cui benefici si estenderanno a tutte le parti, in modo da promuovere nella regione pace, sicurezza, stabilità e sviluppo sostenibile”.
“Pace, sicurezza, stabilità e sviluppo sostenibile”, tutto molto bello, ma nel 2019 le polemiche furono feroci, soprattutto perché la nuova Via della Seta è un progetto dai risvolti geopolitici per niente banali, che coinvolge aree strategiche estremamente importanti, come i trasporti, la logistica, le infrastrutture, il commercio, la finanza e la connettività tra le persone.
Ma il progetto della nuova Via della Seta è forse anche qualcosa di più
“Originariamente volto a connettere la Cina ai mercati dell’Europa Occidentale via terra e via mare,” scrive l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) sul suo sito internet, “la BRI ha ormai esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina, e i suoi obiettivi ben oltre le reti di trasporto: la BRI persegue infatti l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale della Cina non solo sul piano infrastrutturale, logistico e commerciale, ma anche culturale, energetico e finanziario fino a diventare un vero e proprio strumento di politica estera”.
La questione della Via della Seta è molto delicata
“Ancora oggetto di valutazioni” ha detto la Meloni, ma è evidente che il tema scotta tra le mani, soprattutto perché il contesto geo-politico nel quale è maturato l’accordo del 2019 non è certo quello nel quale si trovano ad operare oggi le varie diplomazie.
In una recente intervista rilasciata all’Ansa, il nuovo ambasciatore di Pechino in Italia Jia Guide, si augura che il Memorandum venga rinnovato:
“Italia e Cina nel 2019 hanno siglato il memorandum di intesa sul Belt and Road, nel chiederci quale ruolo questo abbia avuto, non possiamo che guardare a una serie di dati e di fatti. Negli ultimi tre anni, l’interscambio bilaterale tra Italia e Cina ha affrontato gli ostacoli dovuti alla pandemia e segnato nuovi record, toccando, nel 2022, i 77,88 miliardi di dollari e ponendosi in prima linea a livello europeo tra i Paesi che hanno rapporti commerciali con la Cina. L’Italia, negli ultimi anni, è divenuta il Paese europeo ad aver siglato il maggior numero di accordi per l’export di prodotti alimentari verso la Cina e quest’ultima ha mantenuto la sua posizione di primo partner commerciale dell’Italia in Asia”.
“Il presidente Xi Jinping”, ha aggiunto l’ambasciatore, “ha affermato che quella tra Italia e Cina sul Belt and Road è una cooperazione tra ‘partner naturali’. Proprio lungo l’antica Via della Seta che risale a più di mille anni fa con le sue rotte che si estendevano per centinaia di migliaia di chilometri, le nostre due grandi civiltà si sono incontrate, ammirate a vicenda, hanno appreso l’una dalle esperienze dell’altra e scritto una grande storia di amicizia che è d’esempio per l’umanità intera”.
Strategia globale cinese
Dunque parole importanti, che pesano nel dibattito e che danno il senso di una strategia globale cinese particolarmente raffinata ed impegnata su più fronti.
Ma per l’Italia la nuova Via della Seta è un affare marginale oppure un’opportunità?
Da una verifica dei fatti prodotta da ISPI nel 2019, emergono alcune questioni centrali.
La prima: la nuova Via della Seta non è solo ambizione economica.
“La BRI rientra nella strategia cinese che mira ad aumentare l’influenza e il peso di Pechino nel mondo, sia sul piano economico che su quello politico-militare. Benché venga ufficialmente presentata come un progetto infrastrutturale di sviluppo economico attraverso una maggiore integrazione regionale ed internazionale del paese, la BRI ha infatti un legame ormai acclarato con l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) e il suo braccio navale (PLA Navy). Attraverso i progetti BRI, la Cina si sta dotando della capacità di estendere il proprio braccio geo-strategico oltre i confini regionali”
Non solo reti di trasporto
La seconda: la nuova Via della Seta non è solo reti di trasporto.
“Solo una parte degli investimenti BRI si è tradotta nella realizzazione di reti di trasporto: il 24% del totale, ovvero 301 progetti che valgono $179.9 miliardi e includono sia i trasporti su gomma sia il comparto ferroviario […] Su un totale di 1.247 progetti realizzati nel mondo nel contesto della BRI, il 32% (401) riguarda il settore energetico e ha l’obiettivo di aumentare l’interconnessione della Cina con le reti dei principali fornitori di risorse energetiche, nonché di acquisire competenze tecnologiche per gestire in modo più efficiente le proprie reti […] Merita inoltre particolare attenzione il settore delle telecomunicazioni che, sebbene ancora relativamente marginale (3% del totale dei progetti), ricopre un ruolo sempre più importante”
La terza: la nuova Via della Seta è soprattutto investimenti che si concentrano in Asia.
“Gli investimenti BRI in Asia (centrale, meridionale, sud-orientale e nord-orientale) sono circa la metà del totale degli investimenti BRI nel mondo (pari a $321 miliardi distribuiti su 570 progetti). In particolare, fino al 2018 l’Asia Centrale ha ricevuto $96,6 miliardi (148 progetti), mentre all’Asia meridionale e sud-orientale sono stati destinati $158,22 miliardi (322 progetti). I paesi che ne hanno beneficiato maggiormente sono stati Malesia e Indonesia (rispettivamente $32,4 miliardi e $27,2 miliardi)”.
l’Italia è un paese importante
La quarta: per la nuova Via della Seta l’Italia è un paese importante.
“L’Italia è uno snodo terminale strategico nella BRI, uno dei più importanti tra i 65 paesi coinvolti. Innanzitutto, insieme con Olanda e Polonia, è uno dei principali punti di ingresso delle merci cinesi in Europa […] Tra Pechino e il versante Adriatico della penisola esiste già da tempo un’intensa cooperazione.
Trieste, per esempio, fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali […] la Cina non si limita all’Adriatico e si è interessata anche al panorama logistico ligure, che rappresenta un potenziale snodo per raggiungere i mercati della Francia e della penisola iberica. A tal proposito dal 2016 Pechino si è assicurata una presenza diretta attraverso una partecipazione del 49,9% del container terminal di Vado Ligure (40% attraverso COSCO Shipping e 9,9% in capo al Porto di Qingdao).
Luci ed ombre, opportunità e rischi
Verrebbe da dire luci ed ombre, opportunità e rischi.
In un bellissimo volume – “Le Vie della Seta” – pubblicato dalla casa editrice Einaudi, Susan Whitfield, docente universitaria, scrive che “non è esistita nessuna Via della Seta, si tratta di un’etichetta moderna usata diffusamente solo a partire dalla fine del XX secolo e adoperata da allora per riferirsi al commercio e alle interazioni che hanno avuto luogo nel territorio afro-euroasiatico grosso modo dal 200 a.C. al 1400 d.C”
“In realtà”, aggiunge Susan Whitfield , “in questo periodo esistevano molte reti commerciali: alcune trattavano seta, filati e tessuti, altre no; alcune partivano dalla Cina o da Roma, ma altre dall’Asia centrale, dall’Europa settentrionale, dall’India o dall’Africa e da molti altri luoghi. I viaggi avvenivano via mare, via fiume e via terra e alcune sfruttavano tutte e tre le possibilità”.
Oggi quella “etichetta” è ancora utilizzata e forse comprende molto di più di quel che conteneva un tempo. La nostra epoca è caratterizzata dallo scontro per il nuovo dominio globale tra America e Cina. Quella che Federico Rampini chiama “la seconda Guerra Fredda” determina e determinerà inevitabilmente le scelte di molti altri Paesi più o meno coinvolti in queste dinamiche.
Tra un anno il Governo si troverà a dover decidere cosa fare
Le spinte spostano la volontà prima da una parte e poi dall’altra. La realtà è complessa, figlia di variabili talvolta inattese. Ma l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante in questa partita facendo semplicemente ciò che la sua collocazione geografica le chiede di fare.
Alla recente conferenza “Raisina Dialogue” la Presidente Meloni ha avuto modo di dire che “il fattore peninsulare ci ha fornito una risorsa fondamentale: essere allo stesso tempo una nazione continentale e marittima. Un vantaggio fondamentale, che ci rende piattaforma naturale per il commercio, la logistica e la diffusione della cultura e della scienza”.
Vedremo cosa saprà fare.