C’è più di illusione o più di ipocrisia nella giaculatoria/esorcismo quasi unanime dello “insegniamo a scuola a non essere violenti”? Magari con una nuova legge che istituisca un pacchetto di ore di materia “affettività”. Diciamo che prevalente sia l’elemento di illusione. Un pedagogismo sociale davvero men che minimo propala l’illusione che ripetendo e argomentando la frase “la donna non è cosa tua” si eradichi la possessività violenta, talvolta omicida e sempre al fondo ben poco virile dei maschi che minacciano, picchiano, non ce la fanno ad essere lasciati, pensano quando non praticano quello che ritengono un “valore” non negoziabile e cioè “o mia o di nessuno”.
Sono maschi parenti non alla lontana di quelli che stuprano così, per gioco, per “ragazzate”, per “volevamo solo divertirci”. Sono maschi parenti alla lontana sì ma pur sempre parenti di quelli che “realizza sempre te stesso e sii vincente”. La scuola dovrebbe insegnare altro diverso e confliggente concetto di cittadinanza e civilizzazione, sì, proprio civilizzazione, rispetto a quello di fatto dominante.
E come mai potrebbe farlo la scuola? E con quali effetti concreti? Cosa fa pensare ci sia un rapporto causa-effetto tra il dire e ridire a scuola che non si usa lo smartphone quando si guida, non si è bravi quando si corre in macchina, non si guida dopo un paio di shottini o una cannetta? La piccola scuola nulla può in presenza e azione della Grande Scuola.
La Grande Scuola dell’Obbligo
Da decenni è pienamente operativa, con successo e consenso di pubblico e di critica, una Grande Scuola. Dell’Obbligo a pretendere ed ottenere “i miei sogni”. Dell’Obbligo, maiuscolo e inderogabile, ad essere “vincente”. Dell’Obbligo a “non mollare mai”. Dell’Obbligo a respingere, negare, attribuire a malevolenza altrui, ogni idea e pratica di dovere. La Grande Scuola del Grande Obbligo a riconoscere solo i propri diritti. Identificati e unificati i diritti con bisogni e anche voglie. Io voglio diventa io ho bisogno e, siccome bisogno è parola buona e giusta nel civismo pop, bisogno fa da ponte alla voglia per diventare diritto.
La plebea voglia nella religione sociale corrente diventa bisogno, quindi ostia consacrata e la comunione civile è celebrare il Diritto alla voglia, allo “io voglio”. Questo insegna la Grande Scuola che ha mille cattedre nelle famiglie, nella tv cosiddetta popolare, nella politica, nella vita pubblica. La Grande Scuola di cui siamo tutti allievi (moltissimi a pieni voti) che ci insegna come le regole siano ostacoli se non complotti, che ci insegna non esista dovere rispettabile se non quello verso la propria “felicità”, che ci insegna come scansare, rifiutare, abolire quella gran rompiballe oppressiva della responsabilità individuale.
La Grande Scuola, le mille cattedre e i cento pulpiti che insigniscono della qualifica di “bravo ragazzo” quelli che qualche volta sopprimono materialmente la femmina ribelle che non obbedisce, come si fa con l’animale non più domestico che si ribella. Qualche volta…Molto più spesso “bravi ragazzi” quelli che tirano i capelli e che vuoi che sia? Quelli che controllano movimenti e contatti, non lo fanno per amore? Quelli che cantano nella vita (lo fanno perfino i rapper) della “mia” donna. Quelli che sentono la loro debole virilità castrata e umiliata se la “loro” donna non vuole essere più cosa loro. Quelli che sono peggio dei nonni e bisnonni perché un giustificazionismo ottuso quanto totale li accompagna in famiglia e società.
Se e quando si comincerà a non chiamarli più “bravi ragazzi” prima e non dopo la violenza manifesta…Ma questo non può farlo la piccola scuola, piccola rispetto alla Grande Scuola da smantellare, quella delle Voglie uguali Diritti. Assegnare alla scuola, al corso di “effettività”, il compito di espellere dai valori praticati la sopraffazione sul prossimo (meglio se femmina) è scaricabarile. Illusorio. Illusorio e pure ignorante perché assegna all’istruzione una virtù taumaturgica che cultura e scienza, quelle da studio e consapevolezza, sanno non essere né garantita né univoca né automatica. Illusorio, ignorante e soprattutto sospetto se non corrivo quando la Grande Scuola dell’Obbligo a non avere altro dio che non sia l’Io nessuno neanche la nomina.