Un articolo del New York Times affronta il tema dei contenuti a pagamento su internet e considera il caso di successo dell’inglese Financial Times e dell’americano Wall Street Journal e le ambizioni del magnate dei media Rupert Murdoch di fare pagare tutti i contenuti su internet delle altre sue testate cartacee e tv, in aggiunta al WSJ. L’articolo manifesta anche dei dubbi sulla possibilità che lo stesso risultato si possa ottenere con una informazione generalista, ampiamente e liberamente disponibile sul web.
L’articolo comincia rendendo merito al Financial Times: “Due anni fa, quando tutti i più grandi gruppi editoriali sul web ripetevano convinti il mantra “information wants to be free” (l’informazione vuole essere libera/gratuita), il Financial Times sembrava una mosca bianca destinata a rimanere tale, con il suo sito a pagamento fin dal 2002. Ma in tempi di crisi, con le entrate pubblicitarie in caduta rapida che da mesi non danno alcun segno di ripresa, anche i concorrenti più scettici cominciano a guardare al modello del celebre foglio economico in cerca di ispirazione”.
Il modello di business dell’informazione gratuita online, infatti, incontra difficoltà e appare sempre più dubbio che, su internet ancor più che sulla carta, un sistema basato esclusivamente sulla pubblicità possa stare in piedi da solo, anche a prescindere dalla recessione.
Il giornalismo di qualità, insomma, deve essere pagato: questa è la nuova convinzione degli editori anglosassoni, a cominciare da Rupert Murdoch, capo di News Corp., che ha annunciato la prossima introduzione di “pay walls” per tutti i siti di informazione del suo gruppo.
Stesso discorso sembra stia studiando anche il New York Times, per dare un prezzo all’accesso al suo frequentatissimo sito, anche se ancora non ha specificato in quali termini e con quali modalità.
I modelli finora sperimentati sul Web, infatti, vanno dall’abbonamento annuale (che, nel caso del Financial Times, costa ben 299 dollari, che salgono a 399 se si vuole avere anche la versione cartacea) al micro-pagamento articolo per articolo, passando per la messa in rete gratuita delle notizie generali accompagnata da una “tariffa” per gli approfondimenti o i servizi extra, quali la possibilità di ricevere aggiornamenti in tempo reale sul proprio telefonino.
Resta poi da definire, e finora nessuno l0 ha fatto, cosa si intenda per “giornalismo di qualità” e quali contenuti siano davvero esclusivi e non elaborazioni più o meno fedeli di notizie d’agenzia.
Tra chi preferisce “tassare” le news del giorno e chi invece opta per l’archivio, il dubbio di fondo resta uno solo: gli utenti saranno disposti a pagare? E, una volta sborsata la somma, sopporteranno ancora le inserzioni pubblicitarie? In cerca di una risposta o di possibili soluzioni alternative, il Financial Times si compiace per la “propria lungimiranza”, mentre la concorrenza prende la rincorsa per tentare il sorpasso su una strada che ormai sembra irrimediabilmente tracciata.