Bp, la multinazionale che vuole fermare la marea nera coi rimedi della nonna

Scherzi da 2010: un colosso dell’energia come la British Petroleum, prova a fermare la marea nera con i capelli. Lancia un Sos al popolo di internet e alla fine si convince che i rimedi migliori sono quelli della nonna: «I capelli sono estremamente efficienti nell’assorbire ogni tipo di olio, compreso il petrolio – spiega Lisa Gautier, la cofondatrice dell’associazione umanitaria Matter of Trust – ogni follicolo ha un’enorme area superficiale a cui si ‘attacca’ il petrolio».

Compromesso ormai il Golfo del Messico, gravemente minacciata la Louisiana, incassato il fallimento della cupola di acciaio e cemento sopra i pozzi, la multinazionale cerca di ottenere da un web-forum le soluzioni per evitare che la macchia di petrolio si allarghi ancora di più.

L’organizzazione umanitaria Matter of Trust ha messo in moto una macchina organizzativa micidiale per mobilitare parrucchieri e contadini da tutto il mondo. Secondo l’emittente inglese Bbc, ogni giorno in Louisiana arrivano più di 200mila chilogrammi di capelli provenienti da 370mila saloni sparsi in Usa, Spagna, Francia, Brasile, Canada e Australia. E dunque, se gli esperti non hanno trovato mezzi idonei, nonostante la messa a disposizione di tutte le tecnologie più avanzate, ben vengano pellicce e chiome umane per realizzare le barriere di contenimento, ovviamente una volta ripuliti e insaccati nel nylon.

Dalle colonne del New York Times era arrivata la tragica ammissione di impotenza degli esperti. «La maggior parte delle attrezzature è stata comprata negli anni 90, la tecnologia disponibile non è cambiata molto da quegli anni», ha detto Judith Roos, vicepresidente della Marine Spills Response Corporation.

D’altronde il direttore della compagnia britannica, Doug Suttles, aveva alzato le mani ai microfoni della Cnn per giustificare la nuova strategia stile le-proviamo-tutte: «Quello che abbiamo fatto finora è seguire percorsi paralleli perché non sappiamo quale funzionerà». Prima del disperato appello al web, Bp ha già accettato tutti i consigli pervenuti, compresa quella dei poliziotti della Florida che hanno proposto le balle di fieno da sparare in acqua con dei compressori.

Dopo un tira e molla sulla salute è persino arrivato l’ok dall’Epa, l’ente federale per la difesa dell’ambiente per usare anche i solventi chimici in profondità che erano stati vietati perché non era stato accertato se fossero o meno cancerogeni. Seguendo la logica del male minore anche questa cura forse peggiore del danno è passata.

In realtà il grattacapo ha assunto le dimensioni di un eco-disastro e non sembra che Bp abbiano la soluzione in pugno. Anzi, dimostrano che i giganti diventano minuscoli al momento dell’emergenza che rasenta anche il grottesco: «Sono sicuro che ci sono un sacco di buone idee e molte altre che potrebbero essere non altrettanto praticabili», ha detto il portavoce, Bryan Ferguson. Ma se il piano funzionasse per raccogliere il greggio fuoriuscito, come fare per chiudere la falla? Qualcuno spera che spunti qualcuno in Louisiana con un’idea, ma i 10 milioni di dollari al giorno che spende Bp per cercare di ripulire si fanno sentire. E il colosso petrolifero non sa che pesci prendere: il rischio è che nel Golfo del Messico se li ritrovi tutti morti.

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