BARI – Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, indagato dai pm di Taranto insieme ad altri 52 per “disastro ambientale” nell’inchiesta sull’Ilva, spiega le sue ragioni a Lello Parise di Repubblica Bari.
“Non volevo che l’Ilva chiudesse, ma non mi sembra che sia un reato“. Vendola è accusato di concussione, perché secondo il magistrati tarantini avrebbe fatto pressioni perché Giorgio Assennato, il presidente dell’Arpa da Vendola stesso nominato, non venisse riconfermato.
Questa è la versione di Vendola:
«C’è stato un punto vero di contrasto tra noi, Regione, e una parte dell’ambientalismo: la morte del siderurgico. Mi sono battuto contro l’idea che quella fabbrica dovesse chiudere i battenti. La sfida per me era, ed è, quella della riqualificazione ambientale dell’acciaieria. Forse è una valutazione politica sbagliata, ma non mi sembra che sia un reato».[…]
«Io ho scelto e confermato il professor Assennato alla guida di Arpa per le sue qualità scientifiche e morali. Quanto al resto: basta consultare la documentazione degli atti amministrativi e delle scelte normative fatte in Regione, per rendersi conto che la mia amministrazione ha avuto la schiena dritta nei confronti di Ilva. Ritrovarmi nello stesso pozzo nero con gli inquinatori del capoluogo ionico, mi appare come un doloroso paradosso».[…]
«Perché dovrei abbandonare il campo? Non mi hanno mica trovato diamanti o lingotti d’oro. Non sapevo nemmeno di essere indagato. Ho operato nel rispetto della legalità. Per questo chiederò di essere ascoltato da quei magistrati che hanno portato alla sbarra un pezzo pregiato, e spregiudicato, di capitalismo italiano. Siamo in una fase preliminare dell’inchiesta, ma spero che la verità potrà emergere rapidamente»[…]
Niente da rimproverarsi? «Sì, una cosa: aver immaginato di poter portare sulle nostre spalle tutto il peso di una grande questione nazionale come Ilva, aver creduto di potere in solitudine sconfiggere l’arroganza dei Riva».