Il bambù come vera alternativa alla plastica: così Paolo Bruschi a un certo punto ha deciso di cambiare strada, scegliendo la terra e il bambù alle porte di Ferrara. Paolo Bruschi, una carriera manageriale (vice direttore generale di Poste Italiane e relazioni esterne di Fininvest e Omnitel con la sua agenzia di comunicazione), decide di tornare alla natura.
Questo perché come dice lui, ha scelto di sporcarsi le mani, tornare alla terra e far crescere un bosco di bambù alle porte di Ferrara. Perché? Semplicissimo, il bambù può sostituire la plastica, ma vediamo come e perché.
Paolo Bruschi, plastica e bambù
Intervistato da Emanuele Bompan per Repubblica Paolo Buschi spiega: “Ho cercato un’attività che mettesse insieme ambiente ed economia. L’ho trovata nell’agricoltura sostenibile e nel bambù. La vena ambientale era presente fin da ragazzo, così ho deciso che era giunto il momento di metterla in pratica. Volevo lasciare qualcosa di concreto, come un bosco, una doppia eredita per i nostri figli ma un piccolo contributo anche per le generazioni future. E piantando bambù, entro cinque anni, avrò creato un bosco di 180.000 piante alle porte della città”.
Perché proprio il bambù
Paolo Buschi ha le idee molto chiare a riguardo: “Il bambù vive fino cento anni. Coniuga bene beneficio economico, sicurezza alimentare e sosteniblità ambientale. Cattura CO2, non ha bisogno di prodotti chimici per la sua coltura ed ha tempi di crescita rapidi”.
Ma cosa piantare? “Al momento tre ettari e mezzo di bambù piantati alle porte di Ferrara. La principale tipologia è il moso, il bambù gigante, molto resistente, con una capacità di crescere tra i 13 e 18 metri in circa cinque anni. La seconda tipologia è il dulcis, una tipologia adatta per i germogli ad uso alimentare. Inoltre abbiamo tenuto mezz’ettaro libero per dare spazio alla biodiversità e vedere come interagisce con il bambuseto circostante. In autunno poi pianteremo quattro ettari di madake, una tipologia più legnosa adatta per le costruzioni. In questo spazio libereremo qualche centinaio di galline e anatre per usarle per controllare erbacce e insetti. Avremo poi anche l’apicoltura. L’idea è una coltivazione davvero integrata, il mio vero pallino”.
Il commercio del bambù
Si può vendere e commercializzare il bambù? Sempre a Repubblica Paolo Buschi spiega: “Le filiere sono ancora deboli, si muovono lentamente. Spero che cresca la passione intorno a questo materiale e presto di vedere nascere una filiera italiana robusta. Non capiamo a pieno il valore ambientale di questo prodotto, che in Asia ha una filiera enorme. L’Emilia Romagna vuole piantare 4,5 milioni di alberi. Cosa succederebbe se piantassimo sulla stessa superficie altrettanto bambù? In un ettaro possiamo avere ben 30 mila piante di bambù, che al sesto anno possono essere tagliati e divenire produttivi. Intanto il bambù continua a ricrescere. Quindi se avessimo mille ettari, lo 0,07 della superficie agricola emiliana, potremmo avere 30 milioni di piante che producono ossigeno anche d’inverno quando in pianura padana abbiamo lo smog alle stelle. Per questo credo che anche il pubblico abbia un ruolo importante per incentivare i bambuseti. Oltre la riforestazione bisogna sostenere questa coltura”.