Il surriscaldamento globale? Il livello dei mari che si alza, la siccità, il gelo, le alluvioni e gli uragani? Pare che la risposta delle persone davanti al catastrofismo degli scienziati e degli ambientalisti sia un sonoro “chissenefrega”.
A quanto pare la minaccia non spaventa: o meglio è talmente catastrofica da sembrare ineliminabile, i comportamenti dei singoli talmente piccoli rispetto alla grandezza della questione che alla fine le persone preferiscono rinunciare piuttosto che decidersi a salvare la Terra. Per quanto gli scienziati, dopo i vertici a Copenhagen prima e a Cancun poi, hanno capito che il loro compito passa anche dalla psicologia: bisogna convincere le persone che la lotta contro il riscaldamento globale è possibile, ma soprattutto urgente e necessaria.
A lanciare l’allarme sono due studiosi di Berkeley, Matthew Feinberg e Robb Willer, con lo studio “Apocalypse Soon?”. Le parole degli scienziati, dicono i due, hanno finora avuto effetti controproducenti sulla gente.
“Gli scienziati hanno una bizzarra convinzione: studiano, trovano le soluzioni ai problemi grandi e piccoli dell’umanità e le fanno conoscere. Poi se la società e la politica non adottano quelle soluzioni, lasciando che il mondo vada in rovina, pensano che non sia affar loro. Ma ormai sappiamo che è anche affar loro”, ha detto Rolf Tarrach, rettore dell’Université de Luxembourg, al forum di Kyoto Science and Technology in Society.
La conseguenza è che si stanno moltiplicando i centri che studiano proprio l’aspetto psicologico della lotta al cambiamento climatico: il Center for Research and Environmental Decisions della Columbia, l’Insitute for Environmental Decisions di Zurigo, il Center for Climate Change Communication di Mason, fino al Cultural Cognition Project di Yale.