Fuga dalle Maldive: e non è un action-movie adrenalinico pieno di colpi di scena o effetti speciali. È quello che potrebbe accadere ai 300 mila abitanti delle meravigliose isole dell’oceano Indiano a causa dell’inquinamento atmosferico. Un esodo forzato paventato dal 41enne presidente, Mohamed Nasheed.
Quello delle Maldive è un arcipelago di 1190 isolotti e atolli, con un altitudine media di un metro e venti centimetri. Anche un modesto innalzamento del livello del mare, che molti scienziati ritengono molto probabile entro la fine del secolo, potrebbe sommergere le isole. E perciò l’idea di un graduale trasferimento dei maldiviani in terre più sicure non sembra così fantascientifica.
Il presidente Nasheed, nel suo discorso alla nazione, indicò India, Sri Lanka e Australia come le destinazioni più adatte per un eventuale trasloco di massa. Ma il progetto non è quello di fare dei maldiviani ospiti in casa d’altri. Il progetto delineato dal presidente prevede la creazione di un fondo nazionale, attraverso gli introiti provenienti dal turismo, grazie al quale comprare in futuro un nuovo stato. «Non abbiamo le forze per fermare il cambiamento climatico – ha detto Nasheed – e dunque non possiamo fare altro che comprare una terra altrove».
Quando l’esile capo di stato maldiviano spiattellò al suo popolo la necessità, entro pochi anni, di un esodo forzato alcuni osservatori bollarono la proposta come surreale, paragonandola a quella di un eccentrico principe saudita che per sopperire alla carenza d’acqua nella penisola araba propose di andare a rimorchiare iceberg in Antartide.
Al contrario del regnante saudita, Nasheed è stato preso molto sul serio. Tre mesi dopo il suo annuncio, il presidente di Kiribati, un’altra nazione-arcipelago nel Pacifico, fece eco alla proposta e rivelò di essere alla ricerca di una nuova sistemazione per i suoi connazionali. Solidarietà anche da Joe Romm, autore dell’influente blog ecologista “Climate Progress”: «Non c’è speranza per le Maldive. Fanno bene a cercare una nuova casa».
Non tutti, però, la pensano così. Paul Kench, geomorfologo costiero dell’Università di Auckland, ha preso parte a otto spedizioni alle Maldive per studiare la trasformazione morfologica delle isole. Grazie alle sue ricerche, Kench ha scoperto che sia gli elementi climatici stagionali che quelli episodici – come lo tsunami del 2004 o quello del 2007, che portò a un innalzamento del livello del mare di 20 centimetri in tutte le Maldive – hanno effetti imprevisti sulle spiagge e sull’altitudine delle isole. Egli è convinto che «l’idea che le Maldive siano vicine alla sparizione è un’esagerazione. Lo tsunami e l’innalzamento del livello del mare – ha detto Kench – hanno sollevato sabbia dalla spiaggia spingendola fin sull’isola, formando così una barriera naturale».
Ma se la minaccia alla incolumità delle isole non è dimostrabile, perché il presidente Nasheed ha lanciato il suo allarme? Secondo le opposizioni, l’allarmismo creato dal governo è solo un tentativo di distogliere l’attenzione da altri problemi e di cementare consenso, agitando lo spauracchio della distruzione.
Eppure c’è qualcuno disposto a credere all’ipotesi catastrofica del presidente. Steve Nerem, docente di Ingegneria aerospaziale all’Università del Colorado, monitora costantemente il livello del mare. Dal 1993, da quando vengono utilizzate tecnologie satellitari per mappare gli oceani, le acque sono cresciute in media di 3.3 millimetri all’anno. Anche se intorno alle Maldive l’aumento è stato di 2,2 millimetri. «I dati – ha detto Nerem – risentono di una serie di fattori dovuta alla variabilità atmosferica locale. Non possiamo avere idea di cosa succederà. Ma ci sono una serie di elementi che mostrano come, allo stato attuale, l’innalzamento del livello dei mari rappresenti un problema serissimo».
Secondo altri osservatori internazionali, il progetto di fuga dalle Maldive è soltanto un’acuta provocazione. La previsione di un esodo di massa, unita alla promessa di rendere il paese il primo a “emissioni zero” entro dieci anni, potrebbero essere ingranaggi di un meccanismo più complesso per convogliare l’attenzione (e gli investimenti) del mondo sulle Maldive. Riproponendo, inoltre, in modo eclatante e traumatico la necessità di un piano globale contro l’inquinamento.
Il percorso annunciato dal governo maldiviano per eliminare l’uso dei carburanti fossili sulle isole comprende: generazione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili; infrastrutture di trasmissione, con 155 grandi centrali eoliche; mezzo chilometro quadrato di pannelli solari sui tetti: un impianto a biomassa che brucia anche le bucce di cocco.
Auto e barche con motori diesel e gas dovrebbero essere sostituite da quelle elettriche. Il costo di questi interventi si aggira sui 110 milioni di dollari all’anno. Commentando la sua “road map” ecologista, Nasheed in un’intervista ha dichiarato: «Le acque potrebbero inondare le Maldive. Se il mondo non può salvarci oggi, potrebbe essere troppo tardi per salvare domani Londra, New York ed Hong Kong. In un patto così grottesco, abbiamo fatto un accordo con il diavolo del carbonio: abbiamo scambiato gli innumerevoli consumi di combustibili fossili nella nostra vita, con il futuro della Terra e dei nostri figli».