Copenhagen. Si parla di accordo ma l’intesa è lontana

Il presidente Usa, Barak Obama, e il premier cinese Wen Jiabao

Taglio delle emissioni dell’80 per cento per i Paesi ricchi entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990, e fino al 50 per cento per gli altri Paesi; limite entro cui contenere l’aumento della temperatura a due gradi centigradi, con la possibilità di portarlo a 1,5 alla prossima Conferenza del 2016. Questi i punti principali della nuova bozza messa a punto al vertice dell’Onu sul clima, a Copenaghen.

Nel documento si usa per la prima volta si usa il termine “accordo”. La nuova ipotesi è arrivata dopo un’intensa giornata, cominciata con l’intervento del presidente Usa Barak Obama, proseguita con i vertici bilaterali con la Cina, la Russia e i Paesi dell’Ue e con una riunione ristretta dei leader. Ma ci sono molti dubbi sull’effettiva possibilità di arrivare a un’intesa, in particolare dall’Europa: in serata una fonte di Bruxelles ha detto che «quello che è sul tavolo in questo momento è molto difficile da accettare per l’Unione» e che «per avere dei progressi la Cina deve muoversi».

Intanto per evitare il fallimento gli organizzatori della conferenza sul clima di Copenhagen hanno redatto un “piano B”. Sul tavolo dei leader – riuniti un un vertice informale – c’è la proposta di convocare un altro appuntamento di due-tre settimane a Bonn (Germania) a giugno, per cercare di trasformare in accordo vincolante l’intesa politica sperata per oggi e di aggiungere qualche numero più ambizioso di riduzione delle emissioni di gas serra.

L’incontro del giorno è stato oggi 18 dicembre quello tra Barak Obama e Wen Jiabao. Il lungo faccia a faccia a margine della conferenza dell’Onu ha fatto un «passo avanti»  verso il raggiungimento di un accordo. Obama e Wen proseguiranno i negoziati con una serie di «incontri bilaterali con gli altri Paesi per vedere se si riesce ad arrivare a un’intesa», ha aggiunto la fonte.

I «passi avanti» ci sono e non solo grazie all’incontro Usa-Cina. Nel giorno conclusivo del vertice del vertice sul clima, dopo una discussione durata per gran parte della notte a Copenaghen è pronta, infatti, una bozza d’intesa da sottoporre all’esame dei «grandi» del mondo. La bozza, presentata dalla presidenza danese che ospita il summit, è stata già sottoposta all’esame degli esperti di clima di 26 Paesi diversi, i più influenti, e sarà oggi esaminata dagli oltre 100 capi di Stato e di governo che sono già arrivati o che stanno sbarcando a Copenaghen.

La bozza, come detto, prevede un pacchetto di aiuti ai Paesi più vulnerabili, che parte da 10 miliardi di dollari all’anno tra il 2010 e il 2012, passa a 50 miliardi di dollari annualmente fino al 2015 e 100 miliardi entro il 2020; e propone una serie di meccanismi di raccolta del denaro. I tagli alle emissioni dovranno invece essere tali da non far superare l’aumento di due gradi Celsius (le piccole isole che rischiano di essere sommerse dall’innalzamento del livello dei mari causati dallo scioglimento dei ghiacci avevano chiesto un limite massimo di 1,5 gradi). Le prossime ore saranno decisive per le trattative sul nodo centrale, il taglio alle emissioni. I leader di 26 Paesi ricchi e in via di sviluppo si sono già incontrati nelle primissime ore del giorno per tentare di superare le profonde divisioni; e si incontreranno di nuovo. Trattative febbrili dunque, soprattutto per convincere Cina e India, al primo e al quarto posto nella lista dei Paesi più inquinanti: i due giganti asiatici si sono detti finora disponibili a misure volontarie per rallentare le emissioni di CO2, ma sono riluttanti a consentire ispezioni dall’esterno che verifichino il rispetto degli impegni.

Tuttavia a frenare gli entusiasmi, anche se moderati, di questa giornata conclusiva di Copenhagen è il quarto rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate change). Secondo gli scienziati, infatti, il Mediterraneo è considerato un “hot spot” del cambiamento climatico: cioè una zona calda molto più sensibile in cui gli effetti del riscaldamento globale saranno più esasperati. A confermare quanto sostiene il rapporto il più recente progetto di ricerca europeo denominato Ensembles, secondo il quale anche se si dovesse realizzare uno scenario globale di riscaldamento moderato, le temperature medie dell’area mediterranea potrebbero schizzare in alto ben oltre i due gradi di temperatura ed arrivare addirittura a più cinque gradi (rispetto alla media 1989-1999).

Partendo da queste considerazioni due istituti di ricerca internazionali, l’italiano Cmss (Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici) e il Centro  della comunità caraibica per i cambiamenti climatici hanno presentato a Copenaghen uno studio in cui si tenta di prevedere l’impatto ambientale, sociale ed economico del riscaldamento nell’area mediterranea. Le prospettive, a prima vista, appaiono devastanti poiché l’aumento delle temperature si tradurrà in più ridotte precipitazioni, scarsezza di acqua e processi di desertificazione.

Il risultato di tutto ciò potrebbe portare a un crollo della produttività agricola del 14% nell’Europa Meridionale (soprattutto in Italia e in Grecia) e del 23% nei Paesi Nord-africani, già a partire dalla seconda metà del nostro secolo.  Sul fronte sanitario è prevista la maggiore diffusione di malattie associate a vettori infettivi, come per esempio la malaria, la febbre gialla e la dengue, e un più duro impatto delle ondate di calore estive che potrebbero far crescere del 65% il numero delle cosiddette “morti anticipate” , cioè anziani e malati cronici che non resisterebbero a condizioni estreme.

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