Si apre un nuovo fronte nell’emergenza inquinamento: i rifiuti di plastica (centinaia di milioni di tonnellate) finiti a galleggiare o in fondo agli oceani in tutto il mondo rischiano di danneggiare seriamente la vita in fondo al mare a causa del progressivo rilascio di sostanze tossiche.
L’allarme è stato lanciato da uno studio giapponese condotto alla Nihon University a Chiba, che per la prima volta associa le buste di plastica non solo al rischio di soffocamento per gli animali che le ingeriscono, ma anche alla possibilità concreta del lento rilascio di sostanze tossiche in mare.
La ricerca nipponica descrive una situazione drammatica: le buste di plastica galleggianti negli oceani formano ormai vere e proprie “isole”. Nel Pacifico è stato scoperto un agglomerato di plastica galleggiante in un’area grande il doppio dell’intera superficie del Texas, rifiuti galleggianti in balia delle correnti marine che, secondo l’autore dello studio Katsuhiko Saido, si degradano in tempi relativamente brevi.
Gli scienziati hanno scoperto che quando la plastica si decompone nel mare emette una serie di sostanze chimiche, come il bisfenolo A e sostanze a base di polistirolo (PS), che non si trovano naturalmente. In particolare il bisfenolo A è già noto per causare uno squilibrio del sistema ormonale degli animali.
Non solo: la plastica in mare rilascia monomeri cancerogeni, ma anche dimeri e trimeri. Lo studio, presentato ieri presso l’American Chemical Society a Washington, riferisce che i campioni di acqua prelevati dall’Oceano Pacifico sono stati trovati contaminati con fino a 150 parti per milione.
Si stima che ci siano diverse centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti di plastica galleggianti negli oceani del mondo. Nel solo Giappone 150.000 tonnellate di plastica approdano sulle sue sponde ogni anno.
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