ROMA – La Terra è ‘impolverata’: la quantità di polveri presenti nell’atmosfera sono raddoppiate nell’ultimo secolo secondo un nuovo studio condotto da Natalie Mahowald, professore associate di scienze della terra e dell’atmosfera della Cornell University, aumento di polveri che influenza le condizioni climatiche ed ecologiche del pianeta.
Presentato all’ultimo incontro dell’American Geophysical Union lo scorso dicembre, lo studio ha evidenziato come le particelle in sospensione dell’atmosfera, cioè le ‘polveri sottili’, abbiano un ruolo nell’influenza del clima. Infatti per la prima volta sono state tracciate le fluttuazioni naturali di polveri sottili, o aerosol, che sono disperse nella nostra atmosfera e non derivanti dall’inquinamento di cui l’uomo è responsabile.
Le polveri ‘incriminate’ provengono infatti dai deserti e la loro presenza limita le quantità di radiazioni solari che raggiungono la Terra, un fattore che non solo maschera gli effetti del surriscaldamento globale dovuti all’aumento dei gas serra, ma implica un ‘inquinamento naturale’ delle nubi, comportando una diminuzione delle precipitazioni ed episodi di siccità, che aumentano in questo modo la desertificazione e alterano gli equilibri chimici degli oceani, andando così a modificare il delicato ciclo idrologico nell’idrosfera.
Le fluttuazioni degli aerosol naturali, provenienti dai deserti del pianeta, sono state stimate attraverso i dati estratti dai carotaggi dei ghiacciai effettuati ai poli, ed i risultati sono stati incrociati con i dati estrapolati dalle sedimentazioni di laghi e coralli, importanti ‘registri’ di informazione dei depositi di polvere.
Utilizzando il Community Climate System Model i ricercatori hanno ricostruito la storia degli aerosol del pianeta ed evidenziato come le polveri del deserto agiscano sulle temperature, sulle precipitazioni, sui depositi di ferro negli oceani, vitale per organismi come il plankton, e l’assorbimento del carbonio. I risultati hanno mostrato come nel corso dell’ultimo secolo la capacità di assorbimento del carbonio sia diminuita di 6 parti per milione (ppm), che ha corrisposto ad un aumento del 6 per cento nei depositi di tale elemento negli oceani.
La Mahowald ha spiegato che “finalmente abbiamo informazioni sulle fluttuazioni di polveri provenienti dai deserti, Questo ha un forte impatto per la comprensione della sensibilità climatica – ed ha aggiunto – Ciò che stiamo facendo con questo studio è far fruttare i migliori dati disponibili sul clima. Abbiamo davvero bisogno di analizzarli attentamente, e ancor più abbiamo bisogno di nuovi paleodati”.
Oltread aver stabilito il ruolo della natura nell’inquinamento da aerosol, che i climatologi imputavano esclusivamente alle attività umane, lo studio della Mahowald ha permesso la creazione di un team i cui componenti rappresentano campi molto diversi tra loro, dalla geochimica marina alla computazione e modellizzazione, creando così un nuovo approccio alla climatologia, come ha osservato la stessa Mahowald: “E’ stato uno studio divertente, perché interdisciplinare. Stiamo spingendo le persone a guardare gli impatti climatici da un punto di vista più completo”.