Siccità e alluvioni in una sola estate: è colpa di una corrente artica

LONDRA – Secondo le conclusioni di un rapporto appena diffuso e realizzato dal Met Office britannico assieme alla Noaa, l’amministrazione americana per l’atmosfera e gli oceani, le Olimpiadi di Londra che si apriranno il prossimo 27 luglio, dal punto di vista della meteorologia potrebbero far temere il peggio.

Nelle ultime settimane infatti, si susseguono in tutto il mondo fenomeni meteorologici estremi che vanno dal caldo intenso del Nord America ai rovinosi temporali britannici (e russi) che vede le precipitazioni cresciute, in alcune zone, addirittura oltre il 250 per cento della media mensile.

Analizzando e confrontando queste statistiche, emergerebbe un legame tra la diminuzione dei ghiacci nell’Artico e l’aumento delle precipitazioni. Ma come arrivano gli scienziati a queste conclusioni di cui si dibatte da tempo?  Jennifer Francis della Rutgers University americana sostiene che il cambiamento climatico nell’Artico è un dato di fatto confermato anche dal fatto che “lo spessore dei ghiacci è passato dai tre metri dei primi anni Novanta a circa un metro e mezzo di oggi; cioè si è dimezzato”.

La variazione dei ghiacci provoca così un maggior assorbimento della radiazione solare e un riscaldamento che in grado di mutare la circolazione di una corrente modificando così i meccanismi atmosferici su vasta scala. 

Infatti – spiega Jennifer Francis – abbiamo misurato un indebolimento del jetstream polare, cioè quella corrente a getto che normalmente circonda il Polo Nord ad alta quota. Una sua alterazione è capace di modificare i meccanismi atmosferici su vasta scala influenzando le latitudini inferiori nelle zone abitate dell’Europa e degli Stati Uniti, innescando quei fenomeni estremi a cui assistiamo. Ormai ne vediamo molte di queste manifestazioni – conclude Francis – ed è sempre più difficile dire che non siano legate al cambiamento climatico e in particolare a quanto succede in Artico”.

A rafforzare queste valutazioni è intervenuto anche Michael Mann, direttore alla Penn State University dell’Earth System Science Center. Mann è un illustre studioso dell’ambiente che divenne noto nel 1990 per un grafico battezzato “hockey stick”. Il grafico ricordava la forma di una mazza da hockey e mostrava un’impennata della temperatura del pianeta dovuta al massiccio impiego dei combustibili fossili.

È una valutazione appropriata quella del rapporto, esaminando il caldo senza precedenti di questa estate americana – dice Mann -. Ma non si tratta solo dell’estate che viviamo, è l’anno, la decade e non riguarda soltanto gli Stati Uniti, ma l’intero globo che si sta riscaldando”.

Della questione parla anche Antonio Navarra, presidente del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici:

“I fenomeni estremi sono le prove che cerchiamo studiando il comportamento del clima. Il Polo Nord ha perso in 40 anni il 40 per cento dei ghiacci e questo è un dato di fatto di un’indiscutibile modifica ambientale. Ma quanto accade è complicato e richiede indagini più vaste e continue nel tempo prima di arrivare a conclusioni definitive”.

Una modifica del jetstream polare, secondo lo studioso, può dipendere dalle differenze di temperatura tra equatore e Polo e dalla rotazione della Terra. Aggiunge Navarra:

“Ciò è quanto finora sappiamo. Adesso dobbiamo chiederci invece se il jetstream sia sensibile anche ad altri parametri che ancora non conosciamo. Siamo davanti a una nuova fisica dell’atmosfera?”.

Atteggiamento più cauto invece di un altro studioso italiano: si tratta di Guido Visconti, direttore del centro “fenomeni estremi” dell’Università dell’Aquila. Dopo aver esaminato il rapporto Met Office-Noaa, Visconti ha spiegato:

“Tre anni fa si iniziò a valutare seriamente la connessione tra manifestazioni estreme e cambiamento climatico partendo proprio dal riscaldamento della zona polare. E allora l’American Meteorological Society stabiliva che intanto bisognava classificare bene le caratteristiche degli eventi ancora troppo incerte e troppo personali nelle considerazioni”

Il professore conclude spiegando che il tempo preso in esame dallo studio è ancora troppo scarso:

” Rimane, comunque, un fatto che tutti condividono e cioè che per essere sicuri delle conclusioni ipotizzate dal rapporto bisogna disporre di statistiche almeno su un arco di mezzo secolo che non abbiamo. Altrimenti il loro significato resta discutibile”.

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