ROMA – Il boom di contenuti pornografici online ha un impatto ambientale superiore a quello che avevano le vecchie videocassette. La colpa è di internet che rende la fruizione di video a luci rosse accessibile ad un numero mai immaginato prima di persone. Al tema il magazine The Atlantic dedica un ampio servizio che mette in risalto i danni ambientali che derivano da un eccessivo traffico.
Sotto la lente finisce la “carbon footprint”, l’impronta di carbonio, ovvero il totale di gas serra prodotto durante le attività umane, come somma di tutte le emissioni di anidride carbonica. Se in via generale la “dematerializzazione” permessa da internet giova all’ambiente, la pornografia digitale rappresenta una negativa eccezione. Secondo gli esperti il numero di persone che guarda video porno è talmente alto grazie alla diffusione di internet che l’impronta di carbonio è peggiore di quella riscontrata all’epoca di dvd e riviste per adulti. Al contrario, lo streaming musicale ha avuto conseguenze positive sull’ambiente grazie all’eliminazione di materiali come cd, confezioni di plastica e cellophane, scatole e carburante utilizzati per la spedizione. Un taglio che ha giovato una riduzione delle emissioni di diossido di carbonio almeno del 40%. Non cosi’ la pornografia.
A partire dal 2008, a fare la differenza è stata l’esplosione di siti definiti “tube” ovvero quelli che permettono di guardare video con le stesse modalità di YouTube. Secondo la sociologa Gail Dines il segreto del successo della pornografia online e’ dato dalla concentrazione delle cosiddette tre “A”: affordability, accessibility e anonymity ovvero convenienza, accessibilità e anonimato. “Più il porno diventa anonimo, conveniente e accessibile, più la domanda aumenta”.
Per la studiosa si tratta dello stesso principio che regola la diffusione di altre tecnologie come ad esempio i telefonini. Pur non esistendo numeri e quantificazioni precise, i dati forniti da Pornhub, attualmente il sito porno piu’ visitato al mondo, possono essere un interessante paradigma. Nel 2013, spiega The Atlantic, il sito era stato visitato in un anno 14,7 miliardi di volte. Nel 2016 i miliardi erano quasi raddoppiati, arrivando a 23. In totale le ore passate dagli utenti online erano 4,59 miliardi. Cifre impressionanti, soprattutto perché riferite ad uno solo dei tanti portali disponibili gratuitamente. In altre parole, spiega il magazine, se le valutazioni degli esperti di pornografia dovessero essere esatte, la digitalizzazione del porno potrebbe aver accresciuto cosi’ tanto il numero di fruitori da provocare effetti disastrosi per l’ambiente.