ROMA – La Terra si riscalda sempre di più, i periodi di siccità e gli uragani saranno sempre più frequenti, e noi, che abbiamo contribuito a tutto questo, non abbiamo i soldi per fermare tutto questo. Non lo dicono climatologi ambientalisti, ma l’Organizzazione meteorologica mondiale dell’Onu e l’Organizzazione mondiale della sanità.
L’ultimo decennio, dice il rapporto dell’Onm, è stato il più caldo dal 1850, con un picco massimo tra il 2010 e il 2011. Il passaggio dell’uragano Nina non è bastato a placare il caldo. La temperatura media tra gennaio e ottobre del 2011 è stata di 0,41 gradi superiore rispetto ai 14 gradi di medi tra il 1961 e il 1990. Con questo caldo in aumento, sono più frequenti e duri anche i periodi di siccità, con la conseguente carenza di acqua. La colpa di tutto questo, per l’Onm, è “dovuto alle attività umane”.
La stessa Organizzazione mondiale della Sanità lancia un messaggio preciso: ”Chiediamo che l’aumento degli investimenti in salute e sui sistemi sanitari per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici siano parte della convenzione finale di impegni che uscirà dalla conferenza sui cambiamenti climatici di Durban”. Insomma, la crisi economica mondiale ha sicuramente un forte peso, ma quel che va considerato ”pur nella difficile situazione attuale è che investire sulla riduzione del gas serra rappresenta per i Paesi un ‘investimento triplo’, poiché previene maggiori costi in termini di sanità pubblica, danni ambientali e consumo energetico”.
La conferma dall’Onu di quanto ambientalisti e climatologi sostengono da tempo si scontra però con la poca volontà degli Stati di intervenire contro le emissioni di anidride carbonica, modificando il modello si sviluppo economico attuale.
Eppure solo nel 200 i cambiamenti climatici e i fenomeni ad essi collegati hanno fatto registrare 150mila morti nel mondo: a distanza di dieci anni la cifra è addirittura raddoppiata, con 300mila vittime.
A mettere in guardia sull’aumento di mortalità collegata ai cambiamenti climatici è la responsabile del Programma cambiamento climatico, sviluppo sostenibile e salute dell’Oms-Europa, Bettina Menne, che, riferendosi alla conferenza sul clima in corso a Durban, sottolinea come sia fondamentale adottare iniziative concrete soprattutto in favore dei Paesi più poveri e a rischio.
I cambiamenti climatici, spiega Menne, vanno affrontati considerando che essi determinano due tipi di conseguenze: ”Ci sono le conseguenze dirette come gli eventi estremi, dalle ondate di calore alle alluvioni: nel 2003, ad esempio, in Europa i morti per l’eccessivo calore furono 70 mila e si stima siano state circa 50 mila le vittime nel 2010 solo in Russia per caldo e incendi”.
Ma ci sono anche delle ”conseguenze indirette”, cioè gli effetti sul ciclo dell‘acqua e del cibo. “Nel 2020-30 in vari Paesi dell’Asia centrale si avrà una forte riduzione della produzione agricola a causa di un clima sempre più arido, e la situazione peggiorerà ulteriormente nell’Africa sub-sahariana. La conseguenza di questo sarà un maggiore rischio di malnutrizione per la popolazione”.
Anche l’acqua, da qui al 2030, rappresenterà sempre di più un problema: ”Con il cambiamento climatico, in alcune zone come nel centro Europa, vi sarà troppa acqua per effetto di piogge di maggiore intensità, mentre nel Mediterraneo il rischio sarà quello contrario di una riduzione della disponibilità d’acqua a causa di una maggiore siccità”.
C’è anche un terzo aspetto da considerare: quello sanitario. I cambiamenti climatici infatti, sottolinea l’esperta, ”hanno anche determinato lo spostamento di vettori infettivi da una regione all’altra: è’ il caso di zecche e zanzare tigri, che dal sud si sono spostate verso il nord Europa, ed anche alcune piante molto allergeniche stanno iniziando a diffondersi in aree diverse da quelle di origine”. Tutto ciò, afferma Menne, impone una prima urgenza: ”Bisogna investire di più perché i servizi sanitari dei singoli Paesi siano preparati ad affrontare nuovi eventi estremi e problemi sanitari causati dai cambiamenti climatici, ma è anche fondamentale sviluppare strategie a lungo termine di sviluppo sostenibile”.