“Abitiamo un Paese spento, senza idee e senza coraggio”

Intervista di Andrea Massidda a Oliviero Beha, La Nuova Sardegna, 29 gennaio 2011

Ammette candidamente di essere un tipo che sta sulle scatole, non solo per ciò che dice e scrive, «ma anche ontologicamente, come persona». Giornalista arguto e innamorato della polemica (non quella fine a se stessa) Oliviero Beha, 62 anni portati con grinta, si sente e si sentirà sempre uno Zorro sopravissuto alla censura e a un esercito che – dice sempre lui – lo detesta. Tuttavia si accorge e si compiace di essere ancora un uomo pronto ad affrontare la dura realtà con la penna sguainata. Non solo attraverso i suoi libri profetici, i commenti sull’Unità e sul «Fatto quotidiano» o nei blog e nel portale di Tiscali. Ma persino attraverso le poesie. Come quelle raccolte nel suo quinto e ultimo lavoro in versi dal titolo «Meteko» (nell’antica Grecia i meteci erano coloro che occupavano una posizione intermedia tra i cittadini e i non liberi), uscito per la casa editrice Aragno.

«Il titolo Meteko – spiega Beha – vuol dare l’idea dell’estraneità che ci riguarda un po’ tutti e della difficoltà di conservare e di individuare l’identità».

Lei fa una domanda retorica: si può fare poesia in questi tempi bui berlusconizzati in ogni dove mentre avanza la palude italiana? Prego, risponda. 
«E’ un interrogativo che naturalmente sotteso a questo libro e a questi tempi. Lo citavo a proposito di Bertolt Brecht, che si chiedeva come si potesse parlare di alberi durante la guerra. La risposta è che io scrivo poesie con la stessa mano che scrive tutto il resto, in questa Italia difficile, con poca libertà di pensiero e di espressione, al di là di Berlusconi. Più generalmente, il nostro è un Paese spento, senza coraggio, senza allegria, in cui la cultura va indietro. Eppoi un Paese senza identità».

Nel 2005 ha scritto un libro dal titolo «Crescete & prostituitevi», un accorato j’accuse contro l’immoralità che affossa il nostro Paese e che colpisce scuola, sanità, stampa e tivù. Avrebbe immaginato un decadimento morale come quello di oggi? 
«Sì. Anche perché all’immoralità io univo il passaggio alla amoralità, cioè alla mancanza di morale, che ‚ molto peggio. Purtroppo noi stiamo assistendo a un festival di Sanremo dell’amoralità. Tralasciando la politica, sul piano del costume mi sconcerta il padre di una di quelle ragazze coinvolte nel caso Ruby che intervistato sull’ipotesi che la figlia ventenne sia fidanzata con il premier, risponde: “Magari”. Insomma, il danno molto più profondo di quello che si può immaginare: siamo in pieno fondamentalismo del denaro, che peraltro manda ai giovani un pessimo messaggio. Che ‚ appunto questo: “Crescete & prostituitevi”, non a caso con la “e” commerciale ».

Le escort sono poetiche come le prostitute? Uno come Fabrizio De André avrebbe potuto dedicare loro le sue canzoni? 
«Assolutamente no. Le cosiddette escort sono ragazze vuote, contenitori. Anche la prostituzione deve avere un’anima e queste ragazze non ce l’hanno. Il motivo è‚ chiaro».

E quale sarebbe? 
«Loro non si sentono prostitute: semplicemente fanno quel mestiere. E questo perché… sono circondate da gente che ha prostituito testa e cuore. E la prostituzione della psiche è piƒù grave della prostituzione della vulva. Non foss’altro, per dirla con Cesare Pavese, perché… la vulva si ricompone, la psiche no».

Sempre in quel libro lei conclude: «Ci stanno rubando il futuro». Una frase ripetuta continuamente dai giovani e dagli studenti in lotta contro la riforma Gelmini. 
«Tenendo da parte i motivi economici e sociali, ci stanno rubando il futuro anche a un altro livello che si collega al mio bisogno di scrivere poesie. In un Paese che ha azzerato la memoria non c’‚è piùƒ passato. Senza passato non ci può€ essere identità. E senza identità a quale futuro possiamo guardare?»

L’opposizione? 
«Da noi purtroppo non esiste. Il Partito Democratico non è un vero partito e di democratico ha forse soltanto il nome ».

Leggi l’articolo originale su: italiopoli

Gestione cookie