Alcuni pazienti in stato vegetativo rispondono a stimoli cerebrali

Sembravano completamente “assenti”, vivi ma incapaci di alcuna consapevolezza. Definiti, per lo più, come pazienti “in stato vegetativo”. Ma un nuovo studio sviluppato da un’equipe di ricercatori belgi e inglesi, pubblicato dal New England Journal of Medicine, ha rilevato in loro segni di attività cerebrale.

Tutto cominciò nel 2006, quando i medici presero in esame 54 pazienti in stato di incoscienza: 23 di loro erano ritenuti incapaci di rispondere a qualsiasi stimolo esterno, mentre i restanti 31 sembravano reagire – anche se molto raramente – sbattendo le palpebre o compiendo minimi movimenti.

Attraverso la risonanza magnetica per immagini i dottori notarono che una paziente in realtà riusciva a comprendere domande e comandi provenienti dall’esterno e a rispondere consapevolmente. Per esempio, notarono che alcune aree della corteccia motoria si attivavano se le si chiedeva di immaginare di giocare a tennis. Oppure che le zone del cervello che controllano il senso dello spazio venivano sollecitate quando le si chiedeva di immaginare di essere a casa propria.

Continuando i test con la stessa tecnica, è ora emerso che altri 3 tra i pazienti in stato vegetativo e uno tra quelli lievemente coscienti mostrano la stessa abilità e per cercare di aprire un canale di comunicazione sono stati approfonditi gli esperimenti con un ragazzo di 29 anni, in coma da cinque dopo un gravissimo incidente stradale.

In particolare, i ricercatori hanno cominciato a chiedergli di associare il pensiero del tennis alla risposta “sì” e quello di casa propria al “no” e a fargli delle domande. Per essere sicuri che le sue risposte fossero frutto di una decisione consapevole, hanno poi invertito l’associazione e ottenuto risposte invariate. E, altrettanto invariabilmente, giuste.

La scoperta apre nuovi scenari nel campo della comunicazione e del trattamento dei pazienti reduci da gravi ferite alla testa, perché permette ai dottori – per esempio – di capire se sentano dolore, e – per eliminazione – di stabilire dove. Oppure di accertare se una certa cura sia di sollievo al malato oppure no.

Naturalmente, si tratta di una capacità per nulla generalizzata tra i pazienti in stato vegetativo e presente solo in pochissimi di loro. Ma comunque sufficiente a generare nuovi interrogativi – anche etici – sul grado di consapevolezza e sulla responsabilità da poter attribuire loro. «Se per esempio si chiedesse a un paziente se vuole vivere o morire e la risposta fosse “morire”, la si potrebbe ritenere sufficiente?» si chiede il dottor Joseph J. Fins del Weill Cornell Medical College di New York.

«Non lo sappiamo – continua il professore -. A volte potrebbero non aver capito la domanda, oppure potrebbero voler dire un “Si, ma…” con motivazioni più articolate che noi non intercetteremmo mai. Con questa tecnica abbiamo aperto un nuovo canale di comunicazione, ma in un certo senso è come utilizzare un cellulare in una zona con una pessima ricezione».

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