ROMA – Il Ministro della Salute Renato Balduzzi ha firmato un’ordinanza per individuare i portatori delle protesi mammarie denominate Pip impiantate nel nostro Paese. L’ordinanza, rende noto il ministero, ”impone a tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche e private, accreditate o autorizzate, di redigere entro 15 giorni un elenco nominativo di tutti i casi riguardanti l’impianto di Pip a partire dal 1° gennaio 2001”.
La lista dei portatori di protesi mammarie, prosegue la nota del ministero, ”resterà, a garanzia della privacy dei pazienti, nella esclusiva disponibilità delle strutture, le quali però dovranno notificare alle Asl di riferimento (e queste alle competenti autorità regionali) la data di ciascun intervento d’impianto. Le Regioni avranno poi altri dieci giorni di tempo per inviare tutti i dati al Ministero. L’ordinanza impone che anche le strutture che non hanno effettuato impianti attestino una dichiarazione di mancata effettuazione di tali trattamenti”.
”Le Regioni – continua il ministero – dovranno inoltre verificare l’ applicazione delle raccomandazioni in materia disposte dal Consiglio superiore di sanità nel parere espresso il 22 dicembre scorso”.
Infine ”al Comando Carabinieri per la tutela della salute il Ministro ha affidato il compito di effettuare indagini e controlli al fine di ricostruire i passaggi amministrativi per l’acquisizione delle protesi P.I.P., nonché i percorsi sanitari che hanno preceduto l’impianto delle stesse, operando su tutto il territorio nazionale”.
Recepite tutte le segnalazioni, si potrà dunque sapere con esattezza quante protesi a rischio sono state impiantate in Italia e dove. Premessa necessaria per poter valutare eventuali azioni successive, dopo che la Francia ha già consigliato nei giorni scorsi l’espianto ”cautelativo” per circa 30.000 donne.
Secondo le stime sarebbero circa 4.300 le donne con impianto Pip in Italia, ed il ministero – sulla scorta del parere del Consiglio superiore di sanità del 22 dicembre – ha fatto sapere che si farà carico degli interventi di espianto delle Pip “laddove vi sia una indicazione clinico-medica specifica”.
In attesa di ulteriori sviluppi, cresce intanto la preoccupazione delle donne con impianti di protesi, che in centinaia in questi giorni stanno contattando medici e centri. Ad ogni modo, rileva il chirurgo plastico Marco Gasparotti, ”la rottura eventuale della protesi non comporta rischi di vita, ma e’ fondamentale sottoporsi ad un controllo preventivo attraverso ecografia mammaria e prestare attenzione a possibili mutamenti nella forma della protesi, primo campanello d’allarme”.
Le protesi Pip, la cui produzione è iniziata nel 2001 da parte dell’azienda francese Poly Implant Prothese (Pip), sono finite sotto accusa in Francia nel marzo 2010 – con il conseguente stop alla produzione – poiché composte da materiali non corrispondenti agli standard e perché a maggior rischio di rottura, e per questo sono state ritirate dal mercato italiano dal 2010. Avendo un costo minore, il maggiore utilizzo, affermano vari esperti, sarebbe stato in centri non altamente qualificati e che spesso non rilasciano cartella clinica. Ma le Pip, regolarmente registrate con marchio CE, sono state utilizzate anche in centri pubblici.
All’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano ne sono state impiantate 621, me le pazienti sono gia’ state tutte ricontattate per controlli nel 2010. Molti centri e Istituti di ricovero e cura a carattere oncologico (Irccs) – dal Pascale di Napoli al Regina Elena di Roma all’Istituto tumori di Milano – hanno pero’ precisato di non aver mai usato le Pip.
A finire sotto accusa sono anche gli organismi di controllo europei: ”Come è possibile che una volta elargita un’autorizzazione alla commercializzazione ad un certo tipo di protesi se ne controlli la qualità solamente dopo 10 anni, ed esclusivamente in seguito a segnalazioni di complicazioni?”, rileva l’Associazione italiana chirurgia plastica estetica (Aicpe). E il senatore del Pd Ignazio Marino sottolinea come la metodologia dell’immissione in commercio di dispositivi da parte della Ue ”non e’ purtroppo alla stessa all’altezza” di quella dell’autorita’ regolatoria statunitense Fda.