Flores: “Berlusconi e Bossi, i due ladri di Pisa”. Scalfari: “Sparare ai profughi e trattare con il rais”

ROMA – Paolo Flores d’Arcais dalla prima pagina del Fatto Quotidiano del 30 aprile descrive l’ultimo tira e molla tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi come quella tra i due ladri di Pisa.

“Berlusconi e Bossi sembrano – sputati – quelli del detto toscano: i due ladri di Pisa che litigano di giorno e vanno a rubare insieme di notte. In questo caso non stiamo facendo riferimento alle grassazioni ennesime e infinite delle cricche di regime che prosperano grazie al malgoverno di B e B, ma al miserabile minuetto che stanno intrecciando sui bombardamenti contro Gheddafi. Di giorno fanno finta di darsele di santa ragione, il “celoduro” gracchia che “o lo stop ai raid o può succedere di tutto”…”, scrive Flores.

Poi però a microfoni e registratori spenti il Cavaliere e il Senatur tessono la tela del loro governo nello scenario che è, secondo Flores, “la notte della democrazia liberale che è ormai diventato il parlamento degli Scilipoti”.

E ancora l’editorialista del Fatto rincara la dose e punta il dito contro i due in primis e contro alcune frange dell’informazione televisiva: “Si scambiano amorosi sensi per continuare a tenere in vita il governo di Roma-Milano-ladrone, tanto i telegiornali minzolinizzati daranno a bere agli italiani quello che fa comodo al Narcisocrate di Arcore e al suo scudiero di Pontida. Nel frattempo l’opposizione non c’è, per non smentirsi”.

In un quadro che non sembra affatto idilliaco Flores dà un colpo anche all’opposizione che non si adopera abbastanza, anzi sarebbe praticamente dormiente a detta sua.

“L’altro giorno, per dire, poteva tranquillamente mandare sotto il governo su un documento cruciale di politica economica, ma erano assenti in quaranta. Sarà bene che ogni cittadino si attrezzi perciò per l’“opposizione fai da te”, si consideri comitato centrale di se stesso, non si limiti più a essere “opinione pubblica” e neppure pubblico manifestante quando c’è da scendere in piazza, ma cominci a organizzare club ispirati ai valori costituzionali di “giustizia e libertà” per vincere le battaglie che l’opposizione canonica spesso non vuole neppure combattere. I referendum, in primo luogo”.

La situazione non è facile perché negli equilibri politici pesano, e non poco, “il voto di Napoli, per De Magistris sindaco, e quello di Milano, per un sonoro no alla Moratti”.

Si riallaccia al nodo della debole opposizione Eugenio Scalfari nel giorno della festa dei lavoratori nel suo editoriale di prima pagina su Repubblica. “Le opposizioni si sono fatte sfuggire qualche giorno fa l’occasione di battere la maggioranza sul documento economico presentato da Tremonti. Quaranta assenti, di cui almeno trenta ingiustificati in un passaggio parlamentare decisivo. Non risulta che il capogruppo del Pd abbia deciso le adeguate sanzioni per quei deputati che sono pagati per esser presenti a sedute di quest’importanza. Se si vuole uscire dalla palude, occasioni perse di questo genere non dovrebbero mai più ripetersi. Una parola sul Presidente della Repubblica. Napolitano resta, e non c’era da dubitarne, un punto di riferimento essenziale. Esercita il suo mandato al di sopra delle parti e dalla parte della Costituzione, come può e come deve. L’ha ricordato ancora una volta ieri aggiungendo una nota amara sull’ipocrisia con la quale troppe volte i suoi rilievi vengono accolti dai destinatari. Ha detto “basta”, una parola ferma di cui sarà opportuno che gli interessati tengano conto. Dall’altra parte del Mediterraneo il raìs libico ha annunciato che porterà la guerra in Italia, non contento di insanguinare ogni giorno il suo paese per puntellare la sua dittatura. Si tratta all’evidenza di un folle sanguinario e disperato ed è con un regime di quella fatta che la Lega vorrebbe ristabilire i rapporti rimpiangendo il bacio della mano berlusconiano del “buon tempo andato””.

Il discorso che fa Scalfari però parte da una constatazione: la Lega non condivide le scelte di Belusconi, ma non può mandare a casa il premier e il suo governo visto che è proprio l’esecutivo di cui fa parte.

A questo punto, arrivata in un vicolo cieco secondo Scalfari, il Carroccio “annaspa”. Non è il solo però perché anche il governo ha le mani legate: “Se Bossi decidesse di punirlo Berlusconi vedrebbe finire il suo regno, ma non è in condizione di tirarsi indietro dalle decisioni che ha preso dopo un lungo e insostenibile tergiversare con la Nato di cui facciamo parte. Perciò anche il governo è incartato come la Lega. L’uomo della mediazione potrebbe essere Tremonti? È incartato anche lui”, scrive Scalfari.

Poi aggiunge: “Il ministro dell’Economia è di fatto padrone del governo perché ha in mano la chiave della cassaforte ed è lui a decidere come spartire le poche risorse disponibili. Non gode di alcuna popolarità nel suo partito, è invece benvoluto dalla Lega. Potrebbe essere il momento giusto per lui di vibrare il colpo, ma non può. È lucidamente consapevole che la caduta di Berlusconi farebbe venir meno il cemento che tiene unita la coalizione di centrodestra. Perciò Tremonti non si muove. Ciascuno di questi tre soggetti politici, Bossi Berlusconi Tremonti, ha obiettivi che confliggono tra loro; l’uno ricatta gli altri e ne è ricattato. Il risultato è la paralisi del governo nel momento in cui c’è uno scontro militare in atto, un problema di immigrazione da gestire e una crisi economica che sembra avviarsi verso un nuovo culmine di speculazioni e di difficoltà. Si profila la necessità d’una manovra finanziaria da 40 miliardi. Sta emergendo una nuova e imponente bolla speculativa di titoli tossici nei portafogli delle banche americane ed europee. La Banca centrale europea è in allarme. Di fronte a questo quadro la maggioranza è a pezzi e il governo è paralizzato”.

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