Il canone Rai in bolletta non piace a Romani, e la lotta al debito a viale Mazzini diventa titanica

ROMA – Quante sfide aspettano la Rai (e quindi anche la neo direttore generale Lorenza Lei) con quei conti che peggiori non si potrebbe: 320 milioni di debiti, 180 milioni di perdite, sintetizza oggi il Corriere della Sera. E come si fa, soprattutto se il mercato pubblicitario langue? Si cerca di combattere l’evasione del canone, che viaggia il media sul 28% l’anno. Ossia circa una persona su tre che non paga nonostante i cortesi inviti della Rai a ogni inizio anno. Massimo Muchetti, sul Corriere, spiega che se l’evasione “fosse ridotta alla media europea del 10%, la Rai avrebbe 3-400 milioni di ricavi in più. E altre centinaia di milioni potrebbero venire dal canone speciale, evaso per il 90%, che si dovrebbe applicare ad alberghi, locali pubblici, banche, aziende. Potrebbero venire, ma non verranno se il ministro delle Attività produttive, Paolo Romani, proprio nei giorni scorsi ha deciso di soprassedere alla proposta di inserire il canone Rai nella bolletta Enel perché i programmi del servizio pubblico non lo convincono“.

E non è semplice far tornare i conti in Rai: “Il debito non è sempre un male. Vi si può ricorrere per costruire impianti migliori, lanciare nuovi business, acquistare altre società. È quanto hanno fatto Sky Italia, che ha mandato la pay tv nelle case di 5 milioni di italiani, e Mediaset, che la sta inseguendo su questa strada e ha comprato il produttore di format tv Endemol e la casa cinematografica Medusa. Sky e Mediaset hanno debiti superiori alla Rai, ma hanno anche nuove fonti di reddito. Fanno impresa. E consegnano generosi dividendi ai soci. La Rai, invece, accumula debito senza distribuire dividendi perché non genera cassa, che in un’impresa televisiva pura com’è la Rai è la somma algebrica degli ammortamenti tecnici e del risultato netto d’esercizio, negativo per 180 milioni negli ultimi due anni. Nel 2009, annus horribilis per tutti, la Rai ha prodotto cassa per 49 milioni. Nella ripresina del 2010, per 4 milioni, dicasi 4”.

“Rispetto al 2007, ultimo anno normale, la crisi ha fatto perdere alla Rai il 20%dei ricavi pubblicitari, mentre a Mediaset ha tolto solo un 7%, che è meno della metà della media delle tv commerciali internazionali. Il valore economico reale del singolo punto percentuale della quota degli ascolti Rai è sceso da 29,2 milioni di euro del 2007 ai 24,9 del 2010. Lo stesso indicatore per Mediaset aumenta da 60,4 a 64,7 milioni. La divaricazione è tanto più forte ove si consideri l’andamento degli ascolti, più sfavorevole al Biscione. È ben possibile che alcuni grandi inserzionisti possano aver spostato quote di spesa pubblicitaria dalla Rai a Mediaset per simpatia o timore del premier. In fondo, è la stessa Mediaset a sottolineare il favore goduto presso i suoi primi 100 clienti. Ma più ancora, nella caccia all’ultimo spot, conta lo svantaggio strutturale della Rai che può mandare in onda un numero di spot assai più limitato del concorrente, e dunque può offrire proposte meno allettanti. È questa un’asimmetria regolatoria dalle origini antiche (il «tetto Rai» lo vollero gli editori negli anni Settanta per proteggere i giornali a prezzo amministrato, Berlusconi se lo è trovato), ma dagli effetti sempre più penalizzanti nella sfida con la tv commerciale”. E la giustificazione al questo tetto per la Rai è sempre stato il canone.

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